Milano quasi olimpica

3 Ottobre 2014 di Stefano Olivari

Chi si ricorda di Milano candidata olimpica? Idea lanciata da Gianni Brera sulla bellissima rivista di cultura sportiva (e non a caso fallita, quindi) Record, volendo nobilitarla, ma in realtà portata avanti (si fa per dire) mediaticamente da Candido Cannavò, nel pieno del suo ventennio di direzione della Gazzetta, da Massimo Moratti non ancora diventato presidente dell’Inter e dall’ex tennista e ai tempi imprenditore Sergio Tacchini. L’edizione era quella del 2000 e la candidatura venne ritirata nel 1993 poche settimane dopo la sua presentazione, in maniera ingloriosa: si motivò la scelta con il calo di credibilità dell’Italia dovuto a Tangentopoli (prima e dopo, invece…), ma in realtà il progetto era pieno di lacune e soprattutto partiva da una situazione reale che con poche modifiche è arrivata fino ai giorni nostri. Anzi, quel poco che è cambiato è cambiato in peggio. Il Palalido è tuttora un cantiere, in eterno ritardo prima per proteste di residenti nimby, poi per motivi sanitari (il solito amianto, a quest’ora dovremmo avere tutti il cancro per le volte in cui ci siamo stati) e infine per problemi con la ditta subappaltatrice, al di là del fatto che l’Armani abbia fatto un salto di qualità-quantità come pubblico e un Palalido pronto al massimo le servirebbe per evitare gli attuali allenamenti sotto un tendone. Il fu Palatrussardi, poi chiamato con i nomi di diversi sponsor fino a diventare Palasharp, è chiuso dal 2011 ed è diventato un rifugio non dichiarato per profughi veri (ultimamente soprattutto siriani), immigrati clandestini e sbandati di ogni tipo. Vi si sono tenute varie riunioni di preghiera, diciamo così, musulmane e le anime belle della città (che abitano in centro, quindi ben lontano da lì) vi vorrebbero erigere lì una grande moschea: speriamo di morire prima, con o senza Olimpiadi. Una moschea stava per diventare anche lo storico Velodromo Vigorelli, ora Vigorelli-Maspes, ma per fortuna dopo anni di incuria è tornato ad essere un impianto sportivo, soprattutto per il football americano, anche se pensando al significato della parola ‘velodromo’ si capisce come i soldi pubblici (siamo in zona 5 milioni) siano e saranno spesi senza senso: la pista, di 397,97 metri, sarà anche storica ma dal 1990 Mondiali e Giochi Olimpici si disputano su piste da 250. Scelta demenziale, senza prospettiva. Insomma, al di là del calcio a San Siro e di un solo sport (pallacanestro o pallavolo che sia) al Forum di Assago, di olimpico non c’è niente. Ma non sarebbe nemmeno il problema principale, se solo si respirasse un entusiasmo per qualcosa che andasse di là del milionesimo negozio monomarca e dell’Expo, il cui significato rimane incomprensibile ai più (del resto se il tuo concorrente è Smirne e non Londra o Parigi qualche domanda bisogna farsela). Del progetto morattiano era davvero valida solo impostazione ideologica, ripresa da Los Angeles 1984: tutto il peraltro ottimistico budget, circa 1.500 miliardi di lire dell’epoca, sarebbe stato coperto da privati e i Giochi avrebbero dovuto generare un utile. Non sapremo mai come sarebbe andata a finire, sorvolando sul fatto che ospitare l’edizione estiva dei Giochi costi adesso almeno dieci volte di più. Di sicuro Torino 2006, pur con le dimensioni ridotte dei Giochi Invernali, è stata per le casse dello Stato un bagno di sangue: meno un miliardo di euro la stima più buonista, considerando anche gli incrementi dei flussi turistici in Piemonte nelle voci dell’attivo. E l’ipotetica Roma 2024 di capitali privati, facile previsione, ne avrà ben pochi visto che fra Malagò e Peter Ueberroth c’è una leggera differenza, come dire, culturale.

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