Se il migliore acquisto è Bulgheroni

28 Dicembre 2016 di Mario Orimbelli

Il migliore acquisto? Toto Bulgheroni. Con questa scontata, banale e per certi versi patetica risposta, gli uomini di Varese commentavano le prospettive della squadra in precampionato. Con i giornalisti cestistici di mezza Italia a tessere le lodi di un dirigente mitizzato, come mitizzata è buona parte della pallacanestro ‘di una volta’ (si giocava meglio, gli allenatori allenavano, i presidenti erano appassionati e geniali, tutti erano uomini veri, eccetera…). E allora – fin troppo facile la conclusione – la colpa, oggi che Varese è uno schifo (scriviamo dopo avere visto la partita con la Reyer), sarebbe proprio del mitico Toto. Verrebbe da dire. E io lo dico, anche se in passato alcune mie considerazioni sul Toto hanno creato guai al direttore di Indiscreto (guai relativi: alcuni esponenti della parrocchietta gli hanno tolto il saluto): come è possibile considerare uomo della svolta uno di 73 anni spremuto da mille cariche e mille poltrone del secolo scorso?

Forse erano frasi fatte, di circostanza, quelle del precampionato… Adesso è fin troppo facile capirlo. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. IMPRESENTABILI. A cominciare dal ‘migliore acquisto’. Siamo quasi nel 2017, la pallacanestro dei panzoni alti due metri è fortunatamente un lontano e squallido ricordo: abbiamo l’età per avere seguito dal vivo la grande Varese di Meneghin, Morse, Raga, Ossola, eccetera, ma anche le squadre ‘medie’ di quell’epoca e non c’è bisogno di avere il tesserino di allenatore per notare che il basket di oggi è quasi un altro sport: tatticamente ma anche come filosofia di gestione. È logico che chi ha fatto buone cose in quel contesto (come dirigente Bulgheroni è stato artefice di uno scudetto, oltre che di una retrocessione) non necessariamente sarebbe adatto al basket di oggi, con buona pace di chi gli ha tirato volate (perse e non contro Cipollini o Petacchi) per la presidenza di Lega.

Ognuno ha il suo tempo e Bulgheroni ha già ampiamente fatto il suo. La pallacanestro di club deve trovare nuove formule per essere guardata, in un’epoca in cui chiunque ha a portata di click il meglio del mondo. Retrocedere in A2 non sarebbe nemmeno il peggiore dei mali, se la squadra avesse una identità e una ragion d’essere chiare.

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