Mia madre, quando Moretti sta troppo a lato

2 Maggio 2015 di Stefano Olivari

Nanni Moretti forse ha ancora molto da dire, ma non riesce più a dirlo o per lo meno a dirlo con la forza di prima. A provarlo non è un cattivo film, perché sul piano della sceneggiatura e del soggetto lo riteniamo incapace di fare schifezze, ma paradossalmente un buon film come Mia madre. Dove il sessantaduenne Moretti si mette in secondo piano, interpretando il fratello di una Margherita Buy sua proiezione (è una regista in crisi creativa, che non sopporta più il cinema inteso come mestiere) con una madre (Giulia Lazzarini) che sta morendo in ospedale: si mette in un certo senso ‘a lato’ del suo personaggio, la stessa raccomandazione che nel film la regista fa ai perplessi attori.

L’opera ha diversi piani, con il primo (quello emotivamente ricattatorio del dolore che precede l’assenza e il lutto) che è utile al botteghino ma su cui Moretti non calca la mano, rifiutando la logica del film ‘furbo’ da lui peraltro sempre stigmatizzata e che con La stanza del figlio forse si era materializzata. Molte persone a cui è piaciuto il film, statistica personale, lo hanno apprezzato perché si sono commosse identificandosi in uno dei personaggi:non c’è niente di male, il cinema dovrebbe essere fatto per il pubblico. Il secondo livello, quello del cinema nel cinema, è stato fin troppo usato, anche da Moretti stesso (con le vette di ‘Sogni d’oro’), per poter aggiungere davvero qualcosa di nuovo all’argomento. Molto divertente e spietata, morettismo puro, la figura del divo americano un po’ cialtrone, che parla per luoghi comuni: quando John Turturro ubriaco dice alla Buy “Fellini, Antonioni, Rossellini! Portami in via Veneto!” è irresistibile.

La vera ambizione era sottile ma abbastanza chiara: raccontare la vita come rappresentazione, con noi stessi attori di un film che non si capisca dove voglia andare a parare e che proprio per questo ci ha stancato. Nel personaggio di Moretti che vuole abbandonare il lavoro nonostante sia alle soglie della pensione, con la malattia della madre nemmeno usata come giustificazione, c’è tutto questo. Poi tutte le parti in cui la Buy sogna sono credibili anche se facessero parte della Buy reale (la casa allagata è un sogno o no?), il cinema è la caricatura del cinema (il film sulle lotte operaie, tutti che danno ragione al regista qualsiasi cosa dica), i riferimenti autobiografici sono buttati lì quasi per prendere le distanze da film del passato che non possono essere scissi dalla personalità del loro creatore. La recitazione, addirittura anche quella di Moretti (forse perché si mette ‘a lato’), è sopra la media e i dialoghi sempre misurati. Il problema è che qui mancano sia il fuoco che l’etica morettiana, che ha i suoi tifosi (noi fra questi) e i suoi antipatizzanti. Nel film il Moretti-fratello invita la regista a rompere almeno uno dei suoi schemi: forse con Mia Madre ci è riuscito, fin troppo. Non occorre essere Sacchi per osservare che anche i fuoriclasse hanno bisogno di un’idea di gioco.

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