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Masterchef 4, l’anno della gatta morta
Stefano Olivari 13/01/2015
Non siamo appassionati di cucina (insieme ad alcuni estremisti islamici siamo rimasti gli unici a considerarla una cosa da donne) e forse proprio per questo apprezziamo quel concentrato di cattiveria pura che è la quarta edizione italiana di Masterchef, in onda su Sky Uno ogni giovedì. Gli chef Cracco e Barbieri, più l’imprenditore della ristorazione Bastianich, sono stati ancora più bravi che nelle edizioni precedenti a tirare fuori da ogni concorrente paure, ambizioni, egoismi. Anche perché rispetto alle precedenti edizioni la caratterizzazione dei concorrenti è molto più marcata, in certi casi al confine della parodia.
La barista Viola Berti, la cui emotività esagerata può piacere e non piacere: Cracco e Bastianich ci sono cascati in pieno, al netto del fatto che tutti stiano un po’ recitando e che la trasmissione sia resa guardabile dal montaggio serrato, in un gioco in cui la competenza in cucina è importante ma non decisiva visto che in molte prove (da quelle di gruppo in esterno ad alcuni pressure test) è più produttivo essere bravi sguatteri che fenomeni di creatività. Viola è la nostra favorita per la vittoria finale, insieme al preciso Filippo e al più fantasioso conte Garozzo. Il segreto del successo di questa trasmissione è semplice: pur essendo televisione Masterchef ha una carica di verità davvero notevole, perché almeno metà dei concorrenti non è lì per giocare o mettersi alla prova, ma per dare una svolta alla propria vita. E questo si nota subito, nelle dinamiche da branco o nelle amicizie interessate. Di certo è difficile piacere a tutti e tre i giudici: Bastianich è fissato con la mancanza di sale, Barbieri con la banalità (gli anni scorsi con il famoso ‘mappazzone’), Cracco con l’impiattamento, ma tutti se la prendono a morte se qualcuno non prende sul serio la cucina e soprattutto le loro figure, uniche autorizzate a scherzare. Autoironia zero, da parte di tutti, ma forse anche questo fa parte del gioco.