Master Chef 7 e la cucina che ha rotto

9 Marzo 2018 di Stefano Olivari

La settima edizione di MasterChef Italia si è conclusa con la vittoria del concorrente decisamente più simpatico, Simone Scipioni di Montecosaro, provincia di Macerata, ma forse non del più bravo, per creatività: al livello e forse meglio di Simone erano per noi Kateryna arrivata seconda (bravissima anche nel difendersi su piatti regionali italiani, lei in Italia da poco), Alberto arrivato terzo, Marianna (sesta) e Manuela (undicesima). Chiunque come noi abbia seguito il programma dalla prima puntata ha una sua opinione, magari alla fine la scelta dei giudici è stata anche giusta anche se più meno tutti pensiamo che il livello medio sia stato inferiore al passato. L’avevamo già scritto due mesi e rotti fa, lo ribadiamo.

Il discorso generale riguarda i programmi di cucina e l’editoria ad essi collegata, che negli ultimi anni ha trasformato i cuochi in chef e gli chef in guru onniscienti, che se spruzzano due gocce di pummarola a caso sul piatto sostengono di fare dripping alla Pollock. Gli ascolti della trasmissione di Sky sono stati modesti (meno di un milione per la finale) in rapporto alle edizioni passate, per tanti motivi: l’addio di Cracco che si è dedicato ai suoi nuovi locali in Galleria a Milano, un certo buonismo dei giudici (anche di Antonia Klugmann, che era partita cattiva ed è arrivata morbida) che con poche eccezioni ha fatto partire dal sei politico anche piatti impresentabili togliendoci i numeri di Bastianich, soprattutto il fatto che bel gioco dura poco e la settima edizione incuriosisce meno della prima. La concorrenza di mille altre trasmissioni di cucina, alcune delle quali con gli stessi giudici di MasterChef Italia, ma anche di programmi con gli stessi giudici in versione pop (Bastianich, comunque sempre il più divertente, e Cannavacciuolo), non ha aiutato, ma la tendenza prescinde da loro e la trasmissione di Sky rimane comunque la meglio confezionata nel suo genere.

Siamo freschi reduci da una conferenza stampa a Tempo di Libri in cui vari esponenti di primo piano dell’editoria hanno sostenuto che dal punto di vista delle vendite la cucina con annessi e connessi ha già svoltato verso il basso. Va precisato che la cucina in quanto tale fa parte della vita quotidiana, non è certo una moda, mentre una moda degli ultimi dieci anni è senz’altro il parlare di cucina (rimpiangiamo gli uomini di una volta che nemmeno andavano a fare la spesa, qualcuno abbiamo anche avuto la fortuna di conoscerlo) e darle un valore assoluto che non ha mai avuto nei millenni precedenti. La retorica sull’Italia che avrebbe il suo petrolio nel turismo e che come linea di sviluppo ha quello di diventare un paese di affittacamere (in nero, così si prende il reddito di cittadinanza) trova nella cucina, alta e media, un appoggio culturale non da poco. Ma per fortuna è una follia autoreferenziale che riguarda solo i giornalisti e parte del pubblico. Con tutto il rispetto per i cuochi e i loro aiutanti, che nella realtà extratelevisiva fanno un lavoro durissimo e totalizzante.

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