Massimo Recalcati, fascino discreto del lacaniano pop

21 Novembre 2014 di Stefano Olivari

La presentazione di L’ora di lezione – Per un’erotica dell’insegnamento (Einaudi) da parte di Massimo Recalcati, a cui domenica siamo andati nella veste di tassisti-accompagnatori, ci ha ricordato una volta di più che in ogni settore la credibilità presso gli addetti ai lavori è in qualche modo in contrasto con il successo commerciale. Nel variopinto e conflittuale mondo di psichiatri, psicoanalisti e psicologi (Recalcati è psicoanalista) questo meccanismo è ancora più evidente, a maggior ragione quando ad uscire dalla nicchia è uno che nasce studioso di Jacques Lacan come appunto Recalcati (che lo pronuncia come un francese vero, ‘Lacon’). Di più: Recalcati il suo percorso di analisi lo ha portato avanti a Parigi con Jacques-Alain Miller, che del defunto maestro è erede culturale oltre che genero (fossero italiani noi in sala d’aspetto diremmo ‘La solita Italietta’, invece vuoi mettere la meritocrazia francese?).

Messo nella giusta prospettiva Lacan, Recalcati da qualche anno ha svoltato in senso pop andando alla caccia di quel pubblico femminile mediamente acculturato che è il target di quasi tutti i libri commerciali dei colleghi, da Raffaele Morelli a tanti altri, ma anche di psichiatri come Vittorino Andreoli e Willy Pasini. Il successo del 55enne Recalcati presso il pubblico femminile è in effetti notevole, con percentuali da Take That, riuscendo ad intercettare varie fasce: dalla signora di mezza età che pensa di avere una vita vuota (sapesse la nostra…) alla ragazza convinta che tutto nella vita abbia un significato, dalla professoressa delle medie con Repubblica nella borsa all’impiegata che passa tre ore al giorno in treno sentendosi superiore al vicino di posto con Harmony o Tuttosport (se non direttamente Candy Crush). Siamo dalla parte di Recalcati: è molto più difficile convincere all’acquisto un pubblico generalista che fare il fenomeno in una nicchia di persone che la pensa più o meno come te. In questo senso ci sembra che lo psicoanalista milanese, ex compagno di scuola del nostro/vostro Glezos all’istituto agrario (Milano è un paesone e ci sta stretta, solo New York e Saturno ci consentirebbero di dare il massimo) prima di laurearsi in filosofia, abbia avuto negli ultimi anni una evoluzione: ce lo ricordiamo quando parlava con sufficienza nannimorettiana di una giornalista di Gioia che gli aveva chiesto ‘Professor Recalcati, quale è il segreto della felicità?’, mentre adesso non ha più paura di andare verso il popolo.

Nella presentazione della scorsa settimana, nell’ambito di Book City, Recalcati ha tenuto per un’ora la scena da solo (cosa non facile, senza il moderatore a lanciare temi) e lo ha fatto in maniera interessante e coinvolgente nonostante il tema (la scuola e più in generale l’insegnamento) sia uno dei più trattati nella storia dell’umanità. Il problema, che avevamo notato leggendo il suo Cosa resta del padre? (su Indiscreto Paolo Morati ha recensito Non è più come prima) è che quasi tutto può essere detto in un quinto dello spazio e del tempo. Il concetto base dell’ultima opera è che la scuola debba formare un atteggiamento mentale, una predisposizione al sapere e alla sua rielaborazione, più che un enciclopedismo per forza di cose parziale. Da qui l’utilità di passare un pomeriggio a meditare su una poesia, cosa che si può fare solo negli anni di scuola (nessun disoccupato quarantenne, pur con la giornata libera, si metterebbe a meditare su Rimbaud), ma non per un valore storicizzato della poesia stessa quanto per sviluppare l’attitudine a conoscere e a conoscersi. Non proprio tesi nuove, siamo in zona banalità ma comunque una banalità ben presentata. Imbarazzante l’endorsement a Renzi (“Finalmente un presidente del Consiglio che capisce l’importanza della scuola”), per un momento abbiamo sperato che fosse ironico nei confronti delle maestre italiane di passaporto, ma nordcoreane dentro, che facevano cantare i loro alunni all’arrivo del premier.

Con riscatto di Recalcati nel finale, quando le mitiche ‘domande del pubblico’ non sono state poste da esseri umani ma da archetipi, tipo la casalinga di Treviso o il pastore lucano di Sogni d’oro. Prima domanda, che in realtà era un autosbrodolamento, di un anziano professore dall’accento avellinese con (si è intuito) un libro nel cassetto in cerca di pubblicazione. Seconda domanda di una signora milanese, casalinga (ma con domestica fissa, a occhio) disperata con figlia pseudoribelle iscritta a forza al liceo classico e che odia latino e greco. Terza domanda di una studentessa al secondo anno di psicologia, forse marchigiana, evidentemente innamorata di Recalcati e che da Recalcati voleva farsi notare. Il professore se l’è cavata da grande entertainer, accattivandosi l’uditorio femminile anche con l’esibizione del figlio, avendo il coraggio di stupire (ma non troppo) quando ha detto che se un ragazzo non vuole fare il liceo classico è bene che non lo faccia. Una passione può sempre nascere in un secondo tempo, una vera formazione può e deve essere discontinua.

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