Un Martini per Jasi

23 Ottobre 2013 di Fabrizio Provera

Vigilia da far venire i brividi e mandare in sollucchero gli amanti del ‘vero basket’, per dirla con l’eterno Sergio Tavcar, faro di tutti noi.  Giovedì 24 ottobre, alle 20.30, il Forum di Assago ospita il primo match del girone di Eurolega che vede impegnata l’EA7 di Luca Banchi contro il leggendario Zalgiris Kaunas, depotenziato gravemente nel bilancio e reduce da una svolta autarchica (nel roster 12 lituani, 1 estone, 1 lettone e il solo Usa Justin Dentmon): addio al melting pot cestistico che ormai furoreggia ovunque, dentro una sventagliata di vecchie e nuove bandiere lituane. Pocius, il Lavrinovic ex senese, Jankunas, la guardia 1993 Karinauskas e soprattutto lui, l’Eterno, l’Intramontabile, il Venerabile: Sarunas Jasikevicius. Il pezzo pregiatissimo dell’aristocrazia cestistica lituana, magistralmente elogiato su queste colonne da Simone Basso, oggetto di venerazione Martiniana (nel senso che a Jasi ha regalato una specie di Martini Gold o Riserva: non è una battuta, è tutto vero) da parte di Miky Pettene. Lucida follia indiscreta…

Sarunas Jasikevicius, dunque. Classe 1976, 37 anni e la sempiterna gloria baskettara di anni ed anni ai massimi livelli internazionali, con un palmares sterminato e una carriera da autentico globetrotter: la Solanco High School, l’università del Maryland, il Lietuvos, Barca, Maccabi, la parentesi Nba ad Indiana e ai Warriors, quindi Pana, Fenerbahce, ancora Barca e ancora Pana. Ora, nel momento in cui il Sunset Boulevard della sua straordinaria vita agonistica non è più una visione prospettica, Jasi veste – per la prima volta – la casacca verde che condivise Arvydas Sabonis. Abbiamo assistito a Italia-Lituania, in Slovenia, a 5 metri da Sabonis e nel mezzo di 500 tifosi lituani, sovrastati da una bandiera lituana che occupava l’intero settore. Abbiamo toccato con mano cosa significhi ‘la religione del cesto’, cosa significhi il basket in una Nazione che vive e sogna pallacanestro, ogni giorno. Sarunas Jasikevicius è stato uno dei massimi esegeti di questa scuola, che ha sfornato e continua a sfornare talenti sublimi (diversi, molto diversi, dal modello jugoslavo-balcanico), e che ha conquistato l’immortalità con la generazione dei Sabonis, dei Marciulonis e dei Khomicius.

Il sommo Werther Pedrazzi ci ha raccontato un episodio che nessuno (o quasi) conosce: nel 1986 va a intervistare Sabonis nel suo albergo di Milano, prima dell’incontro con l’Olimpia di Peterson. Ha con sè un’interprete, sua moglie. Chiede a Sabonis se intenda parlare in russo o inglese. ”Due lingue insulse entrambe, io sono lituano. Comunque va bene l’inglese”, rispose lui che all’epoca era il numero uno dello sport sovietico. Poi ci si chiede perché l’Urss implose.. Sabonis vide dalla finestra della stanza l’auto di Werther, una fiammante Renault Fuego (Pedrazzi ha sempre inseguito il sogno degli uomini liberi: in auto o in moto), e se ne innamora. Allora chiede di portarlo al Palalido, con la Fuego… Peccato che quell’auto facesse fatica, molta fatica, a contenere i 198 centimetri di Werher e i 220 di Sabonis.. Il sommo poeta del basket e il più grande lituano della storia rinchiusi come sardine in una Fuego.

Leggenda indiscreta, come quella che vi racconteremo presto recensendo Dream Team di Jack McCallum. Ricordate la Lituania 1992 delle Olimpiadi di Barcellona? Terzo posto, medaglia di bronzo. Ma al momento della premiazione, Sabonis non c’è.
Si trovava riverso su una panchina, negli spogliatoi, stremato dalla vodka. ‘Provate voi a sollevarlo..’, commentò ironico Marciulonis. Lo stesso asso che già militava in Nba e che contribuì a pagare volo e albergo alla Nazionale di un paese la cui federazione di basket non aveva neppure i telefoni. Con l’aiuto dei… Grateful Dead. Ma questa è un’altra storia… Intanto voi, che ancora esitate, correte al Forum. Jasi a Milano. Forse per l’ultima volta.

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