Martina Navratilova e la cultura liberale apprezzata

19 Dicembre 2014 di Stefano Olivari

Negli anni Ottanta c’era davvero tutto, anche miss URSS. Ignoravamo però l’esistenza di questo concorso fino a quando non abbiamo letto del matrimonio di Martina Navratilova con Julia Lemigova, la ragazza che nel 1990 vinse la penultima edizione guadagnandosi la qualificazione a Miss Universo dell’anno successivo, dove sarebbe finita terza (per l’Italia in gara Maria Pia Biscotti, ricordata per i suoi collegamenti trash dalla sede della Doxa in un Sanremo), che andò Parigi a fare la modella e che dopo mille vicissitudini personali (un figlio morto, fra le altre) si sarebbe reinventata nel Stati Uniti come imprenditrice nel campo dei cosmetici: la sua linea del momento, in sostanza creme anti-invecchiamento tipo Wanna Marchi, si chiama Russie Blanche (chiaro riferimento zarista, per chi vede complotti ovunque). Parliamo della 42enne e tonicissima Julia, diventata popolare presso gli sportivi dopo la proposta di matrimonio fattale dalla 58enne ex campionessa in diretta televisiva (tipo Leonardo-Billò a Sky) durante gli ultimi US Open di tennis, non per proporre il solito compitino sull’omosessualità nello sport (chi ne è turbato si calmi, si goda Studio Aperto che fra poco arriva l’Isis), con le solite foto di repertorio (calciatori mai, chiaramente), ma per ribadire una nostra fondamentale teoria: gli anni di formazione in uno stato totalitario e quelli adulti in uno liberale creano persone migliori. Qualche lettore di Indiscreto potrà obbiettare che non si è divertito ad essere ragazzino nell’Albania di Enver Hoxha, ma non potrà negare di avere tratto da un sistema di regole (quasi tutte ottuse, tranne il disprezzo per religioni e superstizioni varie) una forza che nel resto della vita gli è servita. Nella peggiore delle ipotesi ha potuto apprezzare i valori della cultura liberale, che non sono le merci o la ricchezza, ma le possibilità e le libertà (anche sessuale, cosa che nei paesi comunisti o fascisti di solito non viene nemmeno discussa), senza darli per scontati. La differenza psicologica ed etica con gli Occupy-qualsiasi cosa (scommettiamo che non occuperanno niente da domani fino al 7 gennaio, ritorno dalla montagna?) non merita nemmeno di essere spiegata. L’adolescenza della Navratilova non è stata vissuta nelle privazioni, ma comunque nella Cecoslovacchia comunista, e anche la Lemigova dell’epoca non sembrava deperita: storie personali in ogni caso diverse, visto che la fuga di Martina fu dolorosa sotto ogni profilo mentre nel caso di sua moglie (con passato etero) l’URSS si era ormai sfasciata. È chiaramente una teoria, ma non così strampalata se molte persone illuminate mandano i figli in collegi che ricreano (per finta, perché fuori dalla porta c’è magari lo chauffeur pronto a riportarli a casa) i meccanismi psicologici di quel mondo: la concretezza, la solidarietà contro un nemico comune, la voglia di fare, l’ossessione per il tempo da non buttare.

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