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Atletica

Marta Zenoni e la generazione d’oro del mezzofondo

Stefano Olivari 26/01/2015

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L’Italia ha trovato la nuova Gabriella Dorio, negli anni Settanta e Ottanta prima fenomeno giovanile (alcuni suoi record sono durati fino ai giorni nostri) e poi campionessa capace in più occasione di battere asteriscabili atlete dell’Est, al di là dell’oro olimpico di Los Angeles dove comunque superò le rumene (chi si ricorda gli articoli su Ceausescu ‘comunista illuminato’ perché non aveva boicottato i Giochi?) Doina Melinte e Maricica Puica. Una Dorio? Esageriamo, due. Nei 1500 Federica Del Buono (classe 1994), pur in crescita negli 800, e negli 800 Marta Zenoni (classe 1999, farà 16 anni il 9 marzo), che ai tempi aggiunge una struttura fisica impressionante, quasi da ottocentista maschile pur facendo ottime cose anche nei 1.500 (battuto il record italiano indoor allieve di quasi 9 secondi, al suo esordio sulla distanza!). A Padova, all’esordio in una gara assoluta, la bergamasca dell’Atletica Bergamo 1959 Creberg ha dominato le avversarie con un ultimo giro pazzesco e pur penalizzata da una gara tattica ha sfiorato con 2’09”23 il record italiano allieve di Fabia Trabaldo. Guardare per credere.

Ma più che elencare numeri ci piace sottolineare che il mezzofondo femminile italiano è vivissimo, sempre che queste ragazze predestinate (mettiamoci ovviamente anche la Reina, nata nel 1997, dai 3.000 in su) non vengano rovinate dalle logiche statal-impiegatizie dei gruppi militari, governati da una pletora di ufficiali che non solo non combattono contro l’Isis ma nemmeno sanno dove si trovino i loro atleti (la morale della vicenda Wherabouts è in fondo questa). Per adesso in questo mondo è entrata, per motivi di età, soltanto la Del Buono, fresca di arruolamento nella Forestale: speriamo in bene, visto che si chiede la flessibilità a chi lavora nei call center e poi si pretende che lo stipendio fisso sia motivante per gli atleti. In ogni caso la stessa fioritura di talenti non si vede fra i ragazzi, per varie ragioni (non ultima il caso) e anche per quella sorta di autorazzismo che fa pensare agli africani come a miti irraggiungibili e non come a campioni che escono da una selezione durissima e da ambienti dove l’antidoping è un’opinione, oltre a non avere tante alternative sportive. In campo femminile la componente talento ha un peso superiore, a maggior ragione a livello giovanile, ed è per questo che le distanze sembrano meno imbarazzanti. Poi soltanto fra qualche anno scopriremo quanto margine i loro allenatori (Saro Naso per la Zenoni, Giorgio Rondelli per la Reina, la mamma Rossella Gramola per la Del Buono) hanno lasciato a queste ragazze, cioè se hanno puntato al posto assicurato a 19 anni o hanno pensato più in grande, ma già da subito possiamo esultare per la morte rimandata del mezzofondo in pista, cioè il cuore dell’atletica.

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