Marketing della Brianza cattiva

19 Febbraio 2014 di Stefano Olivari

Chi si ricorda della polemica fra esponenti della Lega e Paolo Virzì, prima dell’uscita nelle sale del suo ultimo film? Eppure è storia di poche settimane fa, storia istruttiva e con una spiegazione nei titoli di coda di ‘Il capitale umano’: l’ufficio stampa è curato dal geniale e cattivissimo Enrico Lucherini, da Fellini ai giorni nostri garanzia di palle ben confezionate per giornalisti che non vedono l’ora di cascarci. In altre parole, la Brianza cattiva di cui si è parlato per giorni e giorni sui giornali, nel film quasi non si vede se non per qualche riferimento alla vicina Milano e a un paese inesistente (Ornate). È una storia che potrebbe essere ambientata ovunque, basata su un romanzo di Stephen Amidon uscito negli Stati Uniti 10 anni fa. Un cameriere torna a tarda notte dal lavoro e viene investito da un Suv con guidatore misterioso. Per una serie di intrecci questo guidatore potrebbe essere quasi chiunque dei protagonisti: Serena Ossola, nel film figlia di un piccolo immobiliarista interpretato da Bentivoglio, il suo amico e presunto fidanzato Massimiliano Bernaschi, figlio di un finanziere interpretato da Fabrizio Gifuni e di una ex attrice frustrata impersonata da Valeria Bruni Tedeschi (sua la battuta del film, un ‘Cos’è la polizia?’ pronunciato con un tono che nemmeno decenni di Actor’s Studio potrebbero insegnare), il vero fidanzato Luca (in cura presso una psicologa, nel film Valeria Golino, compagna di Ossola padre), forse anche altri. Lo Cascio nella parte un po’ marginale di un professore che risveglia le velleità artistiche della signora Bernaschi, di culto l’ispettore Bebo Storti (forever il Conte Uguccione di Mai Dire Gol) e il bancario Gigio Alberti (forever il Cedro di Marrakech Express). Il mistero circa il guidatore killer, che ovviamente non si è fermato a soccorrere la vittima, è un pretesto per delineare tratti eterni non solo della Brianza ma dell’umanità: l’avidità che porta a cercare sempre il ‘colpo’ anche in campi fuori dal proprio, il senso di inadeguatezza, il classismo, la fuga nel passato o nel futuro. Niente di originale, insomma, anche se il classismo è spesso stato un tema importante nei film del regista livornese e non a caso è lì che vengono affondati i colpi migliori. Un prodotto che potrebbe essere collocato nella fascia alta delle fiction di RaiUno, con tutti i difetti (il macchiettismo di Bentivoglio, i giovani stereotipati, la moralina finale) e i pregi (la semplicità della scrittura potrebbe farlo funzionare anche all’estero), ma che visto al cinema significa davvero poco. Di sicuro non è offensivo nei confronti della Brianza, è probabile invece che sia fra i peggiori film di Virzì.

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