Mario Sconcerti ricorda Franco Rossi, il Bob Vieri dei giornalisti

30 Ottobre 2019 di Indiscreto

Il 30 ottobre di 6 anni fa Franco Rossi ci lasciava e non ce lo siamo scordati. Per raccontarlo una volta di più utilizziamo senza scrupoli il contributo di Mario Sconcerti al nostro libro su Franco, scritto insieme a Enzo Palladini ed uscito l’anno scorso.

Il Bob Vieri dei giornalisti, di Mario Sconcerti

Siamo stati amici e confidenti, pur vivendo io a Roma e lui a Milano. Ma c’era anche una grande stima professionale: quando nel 1979 andai a dirigere la redazione sportiva di Repubblica pensai subito a Franco come corrispondente da Milano ed esperto di calciomercato. Lui accettò la proposta, pur rimanendo legato a Tuttosport. Al di là degli scoop mi piaceva il suo modo di essere giornalista, da persona che pensava con il lato sinistro della mente in un giornalismo che già all’epoca era omologato. Da parte sua penso che sentisse in me la stessa sua onestà, per questo siamo sempre rimasti amici pur vedendo in maniera differente il calcio e la vita. Una vita, nel suo caso, piena di episodi incredibili, dal suo brevissimo matrimonio alla patente gettata nel fiume, terrorizzato al pensiero di guidare e fare del male al prossimo, passando per mille altri.

Il suo modo di occuparsi di calciomercato mi piaceva e il mio riferimento in materia era lui, sopra a tutti gli altri giornalisti italiani. Non solo per le notizie, ma per il tipo di lettura che riusciva a dare ai fatti in tempo reale. I suoi concorrenti coglievano soltanto l’aspetto tecnico del calcio, quando lo coglievano, mentre lui riusciva sempre a farti vedere l’altra parte della luna grazie a rapporti personali e a una particolare sensibilità. Nel periodo in cui ero vicedirettore della Gazzetta andavamo spesso a cena insieme a Milano, con il privato che si mescolava al lavoro. Mi venne l’idea di mettere 17 persone sul calciomercato, con il risultato di aumentare le vendite di 150.000 copie in un mese e mezzo. Sinceramente non so perché non gli fu mai proposto di passare alla Gazzetta, non saprei nemmeno dire perché non venne in mente a me che ero suo amico. Con il senno di poi si può affermare che lui era uno splendido solista, ma non adatto a un giornale con le stimmate: Franco era un peccatore, fuori dagli schemi.

   È un discorso che possiamo applicare anche alla televisione. In quel contesto Franco mi piaceva molto e nel periodo a Telenova era nella sua fase più istrionica: sapeva come tenere viva l’attenzione, si faceva seguire con naturalezza. Io che lo conoscevo bene posso dire che non recitava, semplicemente accentuava alcuni aspetti del suo carattere e caricava certi racconti. Era di sicuro uno da controcanto, contro l’omologazione. E infatti Mediaset lo ingaggiò proprio per dare vivacità alle sue trasmissioni, inserendo un corpo estraneo. Devo dire che in quel caso fu lui a non farcela: apparentemente a Controcampo era nella sua situazione ideale, ma invece di rompere gli schemi di una tivù omologata fu lui a farsi omologare. Forse lì per la prima volta ebbe chiari i propri limiti.

 Franco si distingueva anche per il suo linguaggio, anzi si può dire che ne inventò uno suo, un linguaggio alla Franco Rossi. Caratteristica che lo differenziava da quasi tutti i giornalisti sportivi della sua epoca e anche di questa. Quando si applicava lo si riconosceva subito, perché avere un linguaggio non è da tutti: ce l’aveva Brera e ce l’hanno avuto altri come Mura, fino ad arrivare forse a me. Quello di Franco era inconfondibile.

Nel corso della carriera ha cambiato pelle, diventando gradualmente un grande competente di calcio: per essere il più bravo sul mercato non serviva infatti avere studiato o approfondito, ma Franco ebbe in quella fase la capacità di migliorare e di associare una buona cultura alla sua naturale creatività. Facendo un paragone calcistico, non aveva secondo me la profondità per essere Baggio, ma era piuttosto un Bob Vieri o un Meroni. Posso quasi dire che sia stato il Bob Vieri di una generazione di giornalisti. Un irregolare di grande talento, che non si poneva il problema di essere in serie A o in serie B: lui giocava la sua partita con le sue regole e il pubblico lo amava per questo.

Sarebbe bravissimo e riconoscibile anche nel giornalismo di oggi, anzi oggi sarebbe più forte rispetto a ieri. Aveva la capacità di cogliere l’istante usando poche parole, le sue frasi erano tweet senza bisogno di Twitter. Lo scrittore è però un’altra cosa rispetto al giornalista, Manzoni ci mise vent’anni per scrivere i Promessi Sposi e Franco in vent’anni non avrebbe scritto una pagina non dico dei Promessi Sposi ma anche di libri meno ambiziosi. Lui ne era consapevole e non se ne è mai fatto un problema.

Nella storia del nostro giornalismo sportivo metterei Franco Rossi in una posizione importante. Era un solitario, un indipendente, un outsider, ma dovendo proprio attaccargli un’etichetta lo collocherei nell’area dei breriani. Non sto dicendo che fosse Brera, giornalista con una profondità spaventosa anche quando apparentemente era leggero, ma che la sua capacità di inventare e creare mi fa pensare a quel mondo.

A cena con Franco Rossi – Storia e Storie di un giornalista sportivo’ (editore Indiscreto), di Stefano Olivari ed Enzo Palladini, è in vendita in formato elettronico per Amazon Kindle a 6,99 euro e in versione cartacea a 14,90 euro presso Amazon, la Libreria Internazionale Hoepli e tutte le altre librerie che lo abbiano ordinato al nostro distributore in esclusiva nazionale, Distribook

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