Mario Lavezzi, e la vita bussò alla musica

5 Aprile 2022 di Paolo Morati

Ci sono personaggi che hanno fatto la storia della ‘musica leggera’ italiana assumendo a seconda delle occasioni diversi ruoli: autore, cantautore, produttore. Uno dei più grandi è Mario Lavezzi, scuola milanese come si dice in questi casi, per un’avventura che ha superato il mezzo secolo, costellata di successi scritti, interpretati e/o prodotti da lui. 

Lo abbiamo intervistato per parlare della sua carriera, a partire dal progetto discografico ed editoriale intitolato E la vita bussò, uscito nel 2020. “Si tratta di un cofanetto di 3 CD con canzoni da me scritte, prodotte o interpretate. Ad accompagnarlo anche un 45 giri del mio primo gruppo, i Trappers, formato quando avevo 16 anni insieme a Tonino Cripezzi che sarebbe entrato successivamente nei Camaleonti, Bruno Longhi, il noto telecronista, e i futuri membri dei Ragazzi della via Gluck Gianfranco Longo e Mimmo Seccia. All’epoca facevamo sostanzialmente cover. Il caso volle che un produttore ci sentisse suonare in un locale di Milano in perfetto inglese, diverso da quello maccheronico di altre band dell’epoca. Ci propose quindi di realizzare una versione italiana di Yesterday intitolata Ieri a lei. E da lì iniziò tutto come racconto anche nel libro realizzato insieme a Luca Pollini, proponendo anche un percorso delle varie epoche da me vissute”.

Partiamo allora dall’inizio. Quando la vita ha bussato a Mario Lavezzi o meglio ancora quando la musica ha bussato alla sua porta?
Ho iniziato a scoprire la musica quando a 10 anni rimasi incuriosito dalla chitarra appesa al muro in casa di un cugino. Il caso volle che proprio in quel periodo per il diploma magistrale mia sorella più grande si fece regalare proprio una chitarra, vietandomene l’uso. Dopo pochi mesi perse interesse per lo strumento e io non mi lasciai scappare l’occasione per appropriarmene. Era di poco valore, di compensato, ma iniziai a strimpellarla. Più avanti iniziai a prendere lezioni da un amico, Franco Bastoni, che sarebbe poi diventato dentista. Eravamo un gruppo di ragazzi appassionati di musica che si ritrovava in Piazza Napoli per suonare e da lì fondai appunto i Trappers, vi fece parte alla fine anche Teo Teocoli. Chiusa quell’avventura venni chiamato dai Camaleonti. Siamo nel 1966, epoca del Beat e periodo di grande goliardia ma anche fermento e creatività così come semplicità, con altre band come i Giganti, The Rokes e Equipe 84. Si partiva per i concerti, e ricordo che una volta ci muovemmo da Milano viaggiando 11 ore in auto per arrivare a Taranto. Tra l’altro l’autostrada finiva a Rimini. Mentre guidavo mi venne un colpo di sonno alle 11 del mattino nei pressi di Foggia, svegliato appena in tempo da chi mi stava a fianco. Avevo 19 anni. Ricordo inoltre che noi musicisti frequentavamo la pensione Julia in Via Rasella a Roma, c’era anche Cristiano Minellono, con cui scrissi ‘Il primo giorno di primavera’.

Proprio lui mi ha raccontato di questo brano. Un grande successo dei Dik Dik.
Ero stato lasciato a casa dai Camaleonti che mi avevano sostituito mentre ero militare. Io ero rivedibile, pesavo pochissimo, ma fui chiamato come forza assente per via del terremoto del Belice. Ero disperato, pensavo che la vita fosse finita, fuori da una band di grande successo con centinaia di date all’anno. Nella stessa serata eravamo arrivati anche a fare tre concerti, come ad esempio accadde a Cattolica, Viserbella e Rimini. In quel momento di sconforto scrissi la musica de ‘Il primo giorno di primavera’ ispirandomi ai Procol Harum, pensando a un’importante struttura strumentale. Il titolo originale del brano, scritto con Minellono, era Giovedì 19 ma Mogol disse che andava cambiato, sottolineando che era appena uscito con ’29 settembre’ per l’Equipe 84 e non era il caso di fare il calendario… Testo modificato, centinaia di migliaia di dischi venduti e primo posto in classifica. Con il senno di poi l’uscita dai Camaleonti è stata la classica porta che si chiude per poi far aprire un portone, come spesso è accaduto nella mia vita. Ed è per questo che ho intitolato ‘E la vita bussò’ cofanetto e libro, tenendo conto dei tanti fatti avvenuti che hanno cambiato il corso degli eventi.

La passione per la band però non si era fermata…
Anche qui, il caso volle che all’etichetta Numero 1, uno straordinario laboratorio di giovani come Gianna Nannini, Umberto Tozzi, PFM, Formula 3, Edoardo Bennato e molti altri ancora, la Coca Cola chiedesse un jingle. Fu deciso di fare la cover di Jesus Christ Superstar. Intitolata Superstar, il testo fu scritto da Herbert Pagani e recitava “Lei non c’è, lei non c’è esce con tutti ma non con te…”. Ovviamente non c’entrava nulla con l’originale, un musical bellissimo e rivoluzionario, e nessuno voleva cantarla. Fu proposta a noi da Alessandro Colombini e Battisti ci suggerì di coinvolgere anche una paio di ragazze per un video. Così nacquero nel 1970 i Flora fauna & cemento e da lì successivamente registrammo anche Mondo Blu. Ma stava finendo un’epoca, dopo il Beat e quella dei figli dei fiori, delle comuni, e se ne stava aprendo un’altra. Quella dell’impegno politico.

E siamo anche alla nuova tappa della vita del Lavezzi musicista
Fu Mogol a suggerire di sciogliere la band sostenendo che non era più il nostro momento e di altri gruppi. Da lì nacque quindi un altro progetto, Il Volo, composto oltre che da me anche da Alberto Radius, Bob Callero, Vince Tempera, Gabriele Lorenzi e Gianni Dall’Agli. Un’esperienza che ci insegnò parecchio. Era un momento storico particolare, esisteva il cosiddetto ‘biglietto proletario’, ossia l’ingresso gratuito per tutti ai concerti, con le famose contestazioni a Francesco De Gregori al Palalido di Milano o le molotov a lanciate a Santana sul palco del Vigorelli. Un periodo storico in cui Gianni Morandi non aveva più spazio e si mise a studiare il violoncello, mentre radio e televisione erano sostanzialmente interessate solo a produzioni impegnate, tendenzialmente schierate a sinistra. Noi invece non ci schierammo mai, ma facemmo comunque un tour organizzato dalla rivista Re Nudo con momenti in cui chiunque poteva salire sul palco ad esibirsi, e c’erano esibizioni della Comune di Paolo Ciarchi così come degli Area che chiudevano lo spettacolo. Dopo tre anni sciogliemmo la band e nel contempo iniziai la carriera solista con il primo album intitolato ‘Iaia’. In cui di fatto suonava tutto Il volo tranne Radius. È il disco che contiene ‘Le tue ali’, e ha in copertina una foto realizzata da Cesare Montalbetti (nome d’arte Cesare Monti), tra gli altri anche fotografo di Battisti.

Nel frattempo arrivò la nuova svolta, legata al rapporto con Loredana Bertè che cambiò anche il sound a cui era abituata la musica italiana. Con grandi successi come appunto E la luna bussò. Come nacque la collaborazione e in particolare questo brano?
Loredana la conobbi nel periodo in cui facevo ancora parte de Il volo. Ci mettemmo insieme e lavorammo nel contempo ai suoi primi album. ‘E la luna bussò’ è contenuta in ‘Bandabertè’ del 1979. Con Loredana avevo visto un concerto di Bob Marley a Ibiza nell’allora Plaza de Toros, quando ancora l’isola non aveva il clamore turistico di oggi. Esistevano giusto la campagna e la città vecchia. Al di là del contesto, in realtà l’ispirazione per la canzone non arrivò da Marley perché la musica reggae non può essere imitata, possono farla solo i giamaicani, come accade da noi con quella napoletana. Mi sono invece ispirato al sound di ‘Dreadlock holiday’, brano dei dei 10CC. A un certo punto con Loredana ci separammo sentimentalmente e poi anche professionalmente con l’ultimo disco insieme che è stato ‘Made in Italy’. Lei si affidò quindi a Ivano Fossati realizzando un bellissimo album come ‘Traslocando’ mentre io iniziai a occuparmi di Anna Oxa e Fiorella Mannoia.

Da questo punto di vista quanto il lavoro di autore e produttore ha tolto a quello di cantante?
Premetto che all’epoca con i miei dischi cercavo anche di realizzare cose sperimentali, come nel caso dell’album ‘Filobus’, senza avere l’ambizione di entrare in classifica. Poi certamente nel tempo ho avuto anch’io dei brani di successo, ma oggi come allora se compongo un brano come autore allora sì che ho quell’ambizione e l’affido all’interprete migliore. Così come in veste di produttore accetto senza problemi che un mio artista interpreti opere di altri. Posso citare vari esempi. ‘Dedicato’, scritta da Ivano Fossati, l’accettai subito e diventò il brano che collocò Loredana nella sfera rock. Lo stesso accadde con ‘Come si cambia’, portata da Fiorella Mannoia a Sanremo nel 1984 e scritta da Maurizio Piccoli e Renato Pareti. Un periodo non facile per lei. L’anno prima avevamo realizzato l’album che conteneva ‘Torneranno gli angeli’, costato 230 milioni di lire alla CGD, una cifra oggi impensabile, mixando a New York negli stessi studi di Made In Italy. Investimenti oggi incredibili. Ci fu però un dissidio con Caterina Caselli e il disco non ebbe alcuna promozione. Nel frattempo avevo registrato il singolo di successo ‘Dolcissima’ (sigla di Italia Sera, in duetto con Giulia Fasolino) e Vittorio Salvetti mi invitò a partecipare al Festivalbar. Io chiesi di prendere anche Fiorella Mannoia, ma Salvetti mi disse che la CGD non gliel’aveva proposta, al che dissi di prenderla in gara al posto mio. La risposta fu negativa, accettò di inserirla soltanto come ‘mascotte’. A quel punto feci quindi sciogliere il contratto di Fiorella con la casa discografica. Ecco che nel frattempo avevo ascoltato un provino di ‘Come si cambia’ decidendo di bussare alle porte di tutte le case discografiche per proporre Fiorella, Tuttavia nessuno la voleva, finché ebbi risposta positiva dalla Ariston che all’epoca aveva perso Rettore. L’idea era di portarla a Sanremo ma Fiorella era titubante. Le spiegai che era la sua ultima possibilità. Grazie a quella partecipazione la sua carriera ripartì. Con lei realizzai altri successi fino a ‘Quello che le donne non dicono’, scritta ancora una volta non da me bensì da Enrico Ruggeri e Luigi Schiavone. Fu l’ultima produzione fatta con lei, insieme a Celso Valli e Piero Fabrizi.

Abbiamo parlato di generi diversi e un artista poliedrico della musica italiana è sicuramente stato Lucio Dalla. Come nacque ‘Vita’, contenuta in ‘Dalla/Morandi’ del 1988?
È un brano che in realtà avevo composto qualche anno prima, proponendolo a Fiorella e Mina senza convincerle. Si intitolava ‘Angeli sporchi’ ed era stata scritta per una ragazza di cui Mogol si era innamorato. Non è un segreto del resto che lui scriva prevalentemente canzoni dedicate alle diverse fidanzate. In questo caso era un’amica di mia moglie e il testo al posto della parola Vita aveva Cara, recitando: “Cara in te ci credo, le nebbie si diradano…”. Quando la feci ascoltare a Lucio Dalla lui ebbe la grande intuizione di modificarla con Vita. Dalla aveva grandi qualità ma anche una grande apertura mentale, oltre che una geniale capacità di gestione manageriale di sé stesso. E l’umiltà di interpretare anche brani non suoi capendone il potenziale. Successe con ‘Canzone’, scritta da Samuele Bersani, o ‘Attenti al lupo’, di Ron. Del resto noi produttori sappiamo benissimo che non è possibile scrivere sempre grandi successi. Ogni tanto questo avviene e allora durano nel tempo. Oggi invece si sfornano singoli in continuazione che però non rimangono.

Il fatto di tirare fuori dal cassetto brani inediti, scritti anni prima, che poi ottengono successo non sembra così raro. Mi viene in mente il caso di ‘Almeno tu nell’universo’ scritto da Bruno Lauzi e Maurizio Fabrizio nel 1972 che avrebbe portato poi al grande rilancio di Mia Martini nel 1989…
Ci sono diversi casi, alcuni clamorosi come appunto quella di ‘Vita’. Posso citare ‘Biancanave’ con cui Alexia partecipò a Sanremo nel 2009. Un brano che con Mogol avevo proposto per l’album ‘Mina Celentano’ del 1998. Rimase lì nel cassetto finché non lo proposi ad Alexia. Il problema è che serviva una voce maschile ‘comprimaria’ per cui alla fine andai io a Sanremo con lei come ‘ospite’ della sua esibizione.

Personalmente lo ritengo un ottimo brano, interpretato benissimo. La domanda sorge spontanea: viste le tante collaborazioni con artiste come Loredana Bertè, Ornella Vanoni, Fiorella Mannoia, Anna Oxa e altre ancora, quanto conta l’interprete per la riuscita di un brano?
Ha un ruolo fondamentale, perché è di fatto la persona che lo comunicherà al pubblico. Per quanto tutto parta dalla scrittura e si possa fare un grande arrangiamento, se non c’è capacità comunicativa da parte di chi canta il messaggio non arriva. Loredana Bertè, ad esempio, ha una capacità comunicativa straordinaria. Lo stesso si può dire della Mannoia, per non parlare della Vanoni. La Oxa ha una grande tecnica e personalità, ma a volte poteva capitare di non trovarci d’accordo sull’uso della voce. Come nel caso di ‘È tutto un attimo’, che volevo abbassare di un tono.

Parliamo infine dell’iniziativa Campusband Musica e Matematica dedicata ai giovani musicisti, arrivata alla quinta edizione. Di cosa si tratta?
Prima di tutto va detto che oggi per chi è giovane è durissima emergere. Bisogna passare attraverso i talent, Sanremo giovani… non ci sono altre possibilità. Ecco che ho ideato un contest sostenuto da SIAE e riservato agli studenti appassionati di musica. Questi devono caricare un inedito e una cover sul sito www.campusband.it dove è anche presente il regolamento. Le categorie sono tre: band, cantautori e interpreti. Chi vince ha la possibilità di firmare un contratto discografico con pubblicazione di un inedito e video. Agli altri vincitori vengono assegnate due borse di studio presso il CPM di Milano, fondato da Franco Mussida, o altre scuole analoghe di altre regioni, e presso il C.E.T. (Centro Europeo di Tuscolano, fondato da Mogol). Nel frattempo è emerso l’interesse futuro per assegnare un NFT (non-fungible token) a ogni finalista, come accade per altre opere digitali, per vendere l’esclusiva virtualmente. Un’opportunità di guadagno in una situazione in cui mille streaming di una canzone valgono un euro. Come SIAE stiamo in tal senso facendo una grande battaglia con le piattaforme online e stiamo raggiungendo un accordo migliorativo, anche se non ancora sufficiente. Da affrontare il tema dell’equo compenso, di cui si sta discutendo a livello europeo considerato quanto vengono pagate oggi le visualizzazioni.

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