Il Maradona del vino

12 Novembre 2013 di Dominique Antognoni

Conosciamo Luca Gardini da quando era un ragazzino con tanti sogni nel cassetto, poi avveratisi. Non era ancora famoso, la gente ancora non lo fermava per strada. Lavorava duro, con una fame di conoscenza a dir poco feroce. La prima intervista risale ai suoi inizi milanesi, appena arrivato da Cracco. Ce lo ricordiamo perfettamente: era in ritardo, difatti ci chiamò dicendo che stava partecipando alla finale del campionato nazionale per i sommelier e che la competizione si stava protraendo oltre le aspettative. Quando entrò nel ristorante disse:  “Ho vinto, scusatemi di avervi fatto aspettare. Cominciamo”. Lo abbiamo guardato con stupore: nessuna emozione, sembrava qualcosa di normale, di normalissimo.

Sono passati quasi otto anni. Ora é all’apice della sua carriera, una carriera mostruosa: 485 articoli su di lui l’anno scorso, copertine, iniziative, contratti come testimonial e collaborazioni a non finire. E’ una star, la grande star del mondo dei sommelier. Diciamolo: se lo merita, perché lavora come un indemoniato, ogni giorno di più. Non si ferma mai, va avanti come un treno. “Da quando ho iniziato a lavorare per Cracco non ho mai fatto un giorno di vacanza, non sono mai stato in malattia. Ho una passione per il vino che va oltre ogni limite, spesso sacrifico anche gli affetti più cari, difatti vorrei stare di più con i miei due figli e con la mia fidanzata”.
E’ al culmine della carriera, il ferro va battuto finché è caldo. Riceve 180 mail al giorno: un insieme di inviti, proposte, progetti, collaborazioni e altro. “Senza il mio manager sarei perso. Sono fortunato, Enrico Cecchetti è un fratello, mi fido di lui ciecamente. Così come di Roberta, la mia assistente, la mia tuttofare, ha la mia vita fra le sue mani” Difatti senza di loro farebbe fatica a gestire le sue giornate, perché ovunque va lo braccano. Lo tirano per la giacca da tutte le parti. Inaugurazioni, festival, classifiche, trasmissioni televisive, rubriche sui quotidiani, perfino sulla Gazzetta dello Sport, giornale non proprio dedicato agli amanti del vino: è ovunque perché piace a tutti, è trasversale.
Forse qualcuno fatica a capire come un sommelier riesca ad essere adorato come una rockstar. Hanno anche ragione, visto che prima di lui nessuno aveva toccato un tale livello di popolarità. Per dirla tutta, solo lui gode di un tale “trattamento”: qualche mese addietro un altro italiano (Luca Martino) ha vinto i mondiali per sommelier e nessuno fa la fila per sponsorizzarlo, intervistarlo o metterlo sotto contratto. “Sono come Maradona”, dice sorridendo. “Sopra le righe e geniale, la gente per queste cose va pazza”. Definizione migliore non esiste. “Ora partiamo con le classifiche?”, dice. “Mi esaltano da matti”.
Partiamo, allora. Tre donne che ti piacciono e tre vini con i quali proveresti a conquistarle.
Per Elisabetta Canalis un Cabochon Monte Rossa, per Michelle Hunziker un Oreno della Tenuta Sette Ponti, mentre per Giulia Michelini proverei con il Polenza della stessa tenuta.
I tre bianchi migliori.
Trebbiano d’Abruzzo di Valentini, Giulio Ferrari riserva del Fondatore, Verdicchio di Matellica riserva Mirum La Monacesca.
I tre rossi, invece?
Cabernet Franc dell’azienda Due Mani, Brunello di Montalcino riserva Poggio di Sotto e Saia Nero d’Avola Feudo Maccari.
Saliamo di livello. I tre champagne migliori?
Brut di Alain Thienot, Dom Perignon e Charlie Heidsieck.
I migliori tre sommelier italiani, Luca Gardini escluso, ovviamente.Angelo Sabadin, verace e tosto. Nicola Bonera, la cultura e l’eleganza. Stefania Turato, l’essenza del naso.
Il miglior sommelier in assoluto?
Gerard Basset, inglese. Completo, davvero completo: una cultura straordinaria, elegante, professionale, in più con delle doti tecniche favolose.
Facciamo non uno ma due passi indietro: come e quando hai deciso di diventare un sommelier?
Avevo 17 anni, stavo assaggiando un Sangiovese di Romagna. Lo ricordo come fosse ora, mi sono detto che entro i 30 anni dovevo diventare qualcuno nel mondo del vino.
Poi cos’è successo? Poi mi sono messo a studiare come un matto, devo ammetterlo, ho avuto una grande fortuna incontrando Giancarlo Mondini, sommelier fantastico e persona meravigliosa. Mi ha dato da leggere libri su libri, abbiamo eseguito degustazioni alla cieca a non finire. Perché il vino lo devi capire, non indovinarlo. Quando mi consideravo ad un buon punto ho cominciato a lavorare per un albergo a cinque stelle a Milano Marittima, dopo di che ho fatto il grande salto, andando a Firenze da Giorgio Pinchiorri: mentre lavoravo da lui ho vinto il titolo come miglior sommelier dei ristoranti. Era il 2005 e potevo considerarmi sulla buona strada. Per completare la mia esperienza sono andato a Londra, a The Fat Duck, uno dei più rinomati ristoranti al mondo e al ritorno bussai alla porta di Cracco.
Come ti ha accolto?
Mi ha detto di no. Ho insistito, l’ho convinto. Ora le nostre strade si sono separate ma per me rimane un uomo straordinario, nei suoi confronti ho una stima umana e professionale infinita. Fra le altre cose che mi ha insegnato è stato anche il modo di pensare il futuro. “Ogni dieci anni ti devi reinventare”, mi ripeteva.
Per cui non farai il sommelier per sempre?
A 40 anni, cioè fra otto, smetto e vado a produrre vino in Toscana. Aprirò anche un agriturismo con poche stanze, ho tutto in mente.
Progetti a breve termine?
Sto per aprire un ristorante a Ciudad de Mexico, lì sono famosissimo, pensa che ci sono stato addirittura sulla copertina di GQ. Aprirò poi a Milano un temporary store del cibo e del vino in occasione dell’Expo.
In molti hanno dei dubbi sui modi nei quali si svolgono i campionati per sommelier…
Lo so, ma basta andare su Youtube per guardare: dopo i mondiali vinti mi hanno messo alla prova in mille situazioni, con degustazioni alla cieca, mai sbagliato un colpo.
Cosa ci vuole per essere un numero uno?
Avere il palato, è una dote con la quale ci nasci. Poi una buona tecnica, carisma, estro, personalità.
Anni fa mi avevi detto: “Sono il migliore”.
No, dissi di avere il palato migliore. Confermo.
Prima di te i sommelier non andavano in tv e annoiavano la gente.
Vero, io piaccio al popolo, ho portato il vino nelle loro case. Il vino non è tannino e gradazione, bensì una storia da raccontare. La gente mi ferma anche al casello dell’autostrada perché di me si fida, sono uno di loro. Sentono che amo il vino, si rendono conto che sono uno “vero”.
Le caratteristiche del vino ideale?
Identità, tipicità, personalità, tradizione e soprattutto saper emozionare.
Cosa ricordi della notte dei mondiali?
13 ottobre 2010, Santo Domingo. In finale rimaniamo io, il dominicano Hector Garcia e il ceco Milan Kreici. Il dominicano si è emozionato troppo, il ceco ha perso tempo con la degustazione, io invece non ho sbagliato un colpo, individuando tre vini alla cieca : un Sancerrè, sauvignon della Loira, del 2008; un Moltepulciano d’Abruzzo Villa Gemma di Masciarelli del 2002 e un Palo Cortadò, sherry invecchiato 30 anni. Alle ore 4.09 in Italia ero campione del mondo.
Chiudiamo con una curiosità: da uno a cento quanto influisce un tuo giudizio sulle sorti di una azienda vinicola?
Cento.
(Intervista pubblicata sulla rivista Good Life)

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