Mancini senza l’italiano medio

4 Settembre 2018 di Stefano Olivari

Roberto Mancini ha detto che gli italiani in serie A sono sempre meno e che questo è un grosso problema: adesso è quindi ufficialmente un allenatore della Nazionale, visto che sono discorsi che sentiamo dai tempi di Bearzot, quando gli stranieri erano due per squadra e in gran parte attaccanti. Da noi maturavano pochi attaccanti, si sosteneva già negli anni Ottanta, perché gli stranieri toglievano spazio nel ruolo. Adesso chiaramente siamo in un altro mondo, con le prime tre giornate di serie A che hanno fatto toccare il minimo storico di impiego di calciatori convocabili in Nazionale: si è scesi sotto il 40% per la prima volta nella storia. Numeri, non seghe mentali.

Non è una questione di sentenza Bosman (che sortisce i suoi effetti dal 1996) visto che 10 anni fa gli italiani giocanti in serie A erano il 61% e ai tempi del vittorioso Mondiale 2006 si viaggiava sopra il 70%. Un fenomeno che riguarda i club da Champions League (con le punte negativissime di Inter e Napoli) ma anche la ex sana provincia, ormai dedita soltanto a trading e scambi di favori. Se dal livello dei campioni si scende alla classe media, è evidente che non c’è alcuna giustificazione tecnica per far giocare in serie A certi stranieri: anzi, formare squadre con gente scarsa che parla dieci lingue diverse, ed è quindi per motivi di comunicazione più difficile da mettere insieme, è spesso controproducente. Vedere l’Atalanta, cioè il miglior settore giovanile d’Italia, perdere contro il Cagliari avendo fra i titolari soltanto due italiani, Masiello e Mancini (Gianluca, ovviamente), ha poche spiegazioni calcistiche.

Cosa non dice, anzi non può dire, Mancini (Roberto)? Non può dire che mezza serie A è finta e sta in piedi soltanto per scambi, equilibri di potere in Lega e pagamenti estero su estero, oltre che per giustificare la disputa di 38 giornate di campionato a beneficio dei canottierati con doppio abbonamento Sky-DAZN. Poi non si pretende che l’Udinese o il Bologna forniscano la spinta dorsale della Nazionale, ma soltanto che stiano in serie A sul serio e non per essere una stazione di passaggio. Non può dire, Mancini, che poco più di due anni fa lui era uno dei due allenatori di un Inter-Udinese in cui gli italiani in campo dall’inizio furono zero, record imbattibile più di quello della Kratochvilova. Non può dire, Mancini, che Pellegri (convocato da rotto, a scopo dimostrativo, così come lo Zaniolo da zero minuti in serie A) è stato ritenuto un buon investimento da una squadra di Champions League come il Monaco e non dall’Amiens. Non può dire, Mancini, che per il direttore sportivo medio (e per il suo presidente, che poi gioca a fare la parte del finto truffato) dieci operazioni con dieci cani da un milione possono essere più vantaggiose di una singola operazione con un giocatore decente da dieci.

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