Basket
Mamma mia
Oscar Eleni 07/03/2015
Oscar Eleni dall’isola greca dove la leggenda narra che ci fosse la fonte di Afrodite, dea per gente che ama, l’incanto dove hanno girato il bellissimo film Mamma mia con Meryl Streep e, fra tanti attori eccellenti, anche il Colin Firth, Oscar per il Discorso del Re, che ci fa impazzire dai giorni in cui frequentava Siena perché la moglie è contradaiola e sembrava così diverso dal perdifo e scarcatsico nobile di Shakespeare in Love. Perché l’isola, perché questo viaggio? Be’, come accade alla piccola eroina del film, anche noi siamo confusi nella ricerca di un padre vero per l’Emporio Armani che ancora spera di prendere per la coda Efes e Vitoria guadagnandosi un glorioso playoff contro il Real Madrid. La giovane Sofia pensava di averne uno e ne ha trovati tre davanti alla madre reticente. L’Emporio è soffocato dagli amori paterni, dentro e fuori dalla squadra. Non si capisce bene chi vogliono ascoltare i maramaldi del più 50 contro Reggio Emilia. In Italia, anche confusi (Be’, è il paese giusto se a due mesi dall’inaugurazione dell’EXPO si parla di impianti pronti per il 18 per cento), ce la dovrebbero comunque fare.
Abbiamo letto di giocatori, Brooks in testa, che si accontenterebbero, ci sono stati messaggeri ambigui che hanno cercato di indorare questa pillola, fingendosi tutti spaventati se, davanti a certi flop sistematici, dovesse andarsene il re, un genio come Giorgio Armani che vive il basket con passione purissima: non ci risulta che abbia mai chiesto di vedere la contabilità, di giustificare scelte dettate forse dall’impreparazione, ma forse anche dall’invidia, per il grande ritardo nel progetto. Se va via lui, urlano quelli del coro, i pilotati da una tenebra tipo ballo Excelsior, cosa faranno a Milano? Be’, a questo si penserà dopo. Nessuno vuole che Armani se ne vada. Bisogna vedere se il nuovo pilota dellla super azienda conosciuta nel mondo,, che dovrebbe arrivare dal regno della grande ottica italiana, avrà progetti diversi, considerando che difficilmente Proli tornerà nella pista dove decideva tutto. In questo circo, come per i padri dell’Armani, ci sono più di tre tendoni da riempire.
AMERICA E FONDAZIONI – Lui, il Livio che ha riportato il grande pubblico al Forum, eh sì, è in America, forse la Lega gli chiederà di tornare per dirigerla come desiderava fare da tanto tempo, dai giorni dell’alleanza con Minucci. Sarebbe interessante vederlo al lavoro, magari sarà lui a spiegarci, prima di Marino e dello stesso Petrucci, come sono stati utilizzati i 900 mila euro piovuti dalla Fondazione nata facendo scempio della legge Melandri per i signorotti del calcio che sembrano avere sempre la gola secca: poche idee, molte pretese. Comunque sia, in giro non c’è pessimismo, anche se il tifoso della strada ti incontra e sogghigna: “Questa Milano vince le battaglie, perde quasi tutte le guerre”.
EUROPA PERDUTA – Sembra di sì, anche se il calendario offre ancora qualche appiglio. Certo bisognava battere l’Olympiakos che è stato squadra anche se i suoi cambi sono certamente inferiori a quelli di Milano. Poi, accidenti, come fanno ad Atene ad avere sempre la moneta superiore a quelle ricche dei paesi europei così critici nei confronti dei greci? La Grecia rischia di avere due fra le otto migliori dell’Eurolega se Dusko Ivanovic non manderà in paranoia il Panathinaikos tallonato dai tedeschi dell’Alba Berlino, la vera rivelazione in questo anno cestistico. Che tipo di appigli? Beh, intanto Malaga, Vitoria e persino i vagotonici del CSKA potrebbero cadere al Forum. Resta il guaio delle due trasferte in Turchia. Per Milano sarà una settimana da vino e belle rose. Per vederla riaffiorare dalla palude dove si è infilata è in città, la sua vera reggia, il Michele D’Antoni in arte Arsenio. Venerdì 13 ritireranno la sua maglia numero 8 che andrà sul tetto del maleolente Forum, nomen adaptus, di fianco a quella di Arturo Kenney, la 18. Per la verità quel numero otto era anche di Sandro Gamba, lo Spartaco di via Washington, già onorato da Armani e dal popolo Olimpia che ancora oggi, leggendolo su Repubblica, potrebbe capire quanto fossero diversi i leoni di Rubini, i campioni di Peterson, da questi che girano con grandi cuffie in mezzo alla gente. Non vogliono sentire, non sanno ascoltare, stentano a capire. I loro guai sono tutti di natura psicologica, sì, anche tecnicamente hanno problemi a liberarsi della palla, l’unico oggetto che considerano davvero importante. Il resto, equilibrio, armonia, chissene fotte. Basta ascoltare la voce del padrone, spesso non è neppure quella che ti paga. La notte di D’Antoni deve essere bellissima. Certo non sta bene la squadra che lui, con Meneghin e McAdoo, ha fatto diventare mitica, né il nostro Arsenio calpestato dalla voracità di una New York che non lo capiva e poi messo sulla brace della disoccupazione, ben pagata, sia chiaro, dall’ego dei Lakers che certo gli torneranno in mente appena vedrà in campo la squadra di Banchi che è davvero interessante se segue il copione dell’alllenatore di Grosseto, ma poi diventa uno scorpione difficile da comprendere perché i “ragazzi dell’Emporio” amano pungere e pungersi anche se rischiano di affogare con chi tenta di salvarli. Milano ce la può fare mentre Cantù e Roma devono essere considerate già fuori? Parlandone seriamente sembra che tutte e tre siano fuori gioco. Roma perché non poteva davvero fare di più con tutti questi guai interni ed esterni. Cantù resta prigioniera delle sue scelte all’inizio stagione: non puoi prendere tori da combattimento e affiancarli a chi vorrebbe pascolarli come se fossero “regine” per i gran premi delle mucche in Val d’Aosta. Dai, Milano può arrivare a 10 punti, magari 12 e allora sarebbe dentro. Se ve lo dice la pancia, più della testa allora concordiamo. Ma è dura. Durissima e fa venire il nervoso perché senza scorpionerie interne c’erano gli uomini per il grande passo.
AMERICANI A ROMA – Dicono che il Toti tentennante voglia sempre vendere la Rometta basket: almeno fino a maggio, giugno, poi si chiede se nel suo circolo magico gli daranno ancora retta e allora si pente. Riparte, spendendo il meno possibile. Gli è andata bene due volte, quest’anno ha camminato in Europa più di tante italiane che avevano un budget nettamente superiore. Ora si dice che grazie al tifoso Malagò potrebbe entrare nel gioco l’americano Pallotta che già gestisce la Roma calcio. Magari. Qui nessuno si sbraccia per avere nuovi finanzatori, con idee un po’ diverse dai padroncini di quest basket dell’effimero. Pensate che a Bologna, dove c’è un altro che viene da terre dove il basket è più di una religione, potrebbero esserci opposizioni se i gestori della squadra di calcio si interessassero alla Virtus, ma, soprattutto, alla Fortitudo finita in quarta serie.
A PROPOSITO DI AMERICANI – Sembra che la Coca Cola abbia deciso di far diventare un campo da basket l’area che utilizzerà per l’EXPO di Milano. Magari sarebbe bello se Lega e FIP andassero a bussare subito alla porta. Per ringraziare, ovviamente, ma anche per sviluppare qualche bel progetto comune che vada oltre il tre contro tre.
GUAI IN CASA – Siamo amareggiati per Cusin. Lo eravamo quando rinunciò alla grande ribalta lasciando Sassari e un allenatore che quasi tutti in Italia vorrebbero avere, ma lo siamo ancora di più adesso che non esce dal tunnel degli infortuni. Era fuori nelle finali di coppa Italia quando Cremona aveva davvero bisogno di lui, starà lontano dal campo almeno un mese e mezzo per una frattura ad una mano. Frattura in allenamento? No. Lavorando in casa!
GRANDI MAGHI – In questi giorni, anche se si è ripreso benssimo e nella gocciolante New York è quello che segna di più, preferiamo studiare la vita di Andre Krismarich, tifoso della Reyer, mago delle vignette, piuttosto che quella del maghetto Bargnani che troppo spesso si fa disarcionare dalla scopa. Come il povero Datome che forse è nel progetto americani a Roma, a meno che non lo abbia già firmato e fermato l’Emporio Armani.
RIMINI PER LORO – Chi sta vivendo le giornate di Rimini con LNP, nel regno del Coldebella creativo, duro maduro, ricordandosi della penosa fiesta immobile per la coppa Italia a Desio parla già di un cappotto inflitto dai “dilettanti” del basket ai similprofessionisti della massima serie. Vero che il dilettantismo è sempre stato una opinione. Ricordiamoci dei “dilettanti” di regime ai tempi in cui il muro esisteva e si vedeva, non come quello di oggi che è peggiore di tutti, proprio perché sembra invisibile ai lupi adoratori del denaro a prescindere. Comunque sia, se quelli sono dilettanti in occhiali scuri meglio copiarli che ignorarli.
STRANI RAPPORTI – In casa della Virtus Bologna, rivelazione dell’anno per merito di Valli, Crovetti e, ovviamente, Villalta, è suonato l’allarme dopo la dichiarazione di Allan Ray, il suo Aladino: “Tutti ti fanno i complimenti fino a quando vai a discutere per un nuovo contratto”. Questo è il mondo come ce lo siamo scelto, persino nello sport, come direbbero i vecchi padrini infastiditi dalle sparatorie. Da quando ci sono agenti a tutti gli angoli, con subagenti di guardia anche nei privati delle discoteche, è sempre più difficile capire e farsi capire.
GRASSO CHE COLA – Citiamo da un testo che potrebbe anche sconvolgere le menti più deboli nel regno del canestro sputato, della sfortuna al tiro. Scrive Aldo Grasso, critico televisivo del Corrierone, uno che puoi anche discutere, ma uno che sa pensare e non si inginocchia davanti alla pubblicità che fa vivere, (vivere?) i giornali, le radio, le televisioni: ”Perdonate l’insistenza e soprattutto la presunzione, ma so di avere ragione: le telecronache sono vecchie dappertutto (lui parla del calcio, ma noi gli manderemo le cassette per quelle di basket, ndr). Anni fa sono servite ad uscire dal grigiore ministeriale RAI, ma adesso sono in piena fase involutiva… Mai un attimo di silenzio per percepire l’atmosfera del campo. Possibile che dopo 60 anni di TV bisogna insistere ancora con le radiocronache?“. Lui aggiunge una cosa ovvia: perché assillare tutti con la notiziona che Tizio passa la palla a Caio? Se la prende con l’enfasi di chi recita la parte dell’infelice costretto ad un lavoro diverso da quello che merita, narcisoni che vorrebero essere in campo, magari in panchina. Poi c’è l’attacco alle frasi gergali, al superfluo, il ripetere punteggio e tempo della gara (spesso nel basket, con la crisi della grafica, è necessario) che dovremmo vedere sulle schermo. Insomma roba già detta. Ma è difficile far capire certe cose quando il grillismo sfascia tutto. Proprio come in certe squadre.
Oscar Eleni, in esclusiva per Indiscreto