Gatti della Malesia
26 Agosto 2014
di Duccio De Santis e Andrea Ferrari
Alla fine non abbiamo la risposta certa se la Malesia rappresenti o meno la vera Asia, ma quella che noi (Duccio De Santis e Andrea Ferrari) abbiamo avuto il piacere di girare, oltre ad una conclusione in Thailandia, è stata sorprendente e sicuramente la possiamo consigliare a tutti. La nostra idea originaria era creare una sorta di diario di bordo giornaliero, ma il tutto è abortito praticamente dopo una settimana. D’altronde in parallelo eravamo aggiornatissimi sulla gesta del governo Renzi, passato senza problemi dai 100 ai 1000 giorni quindi non ci siamo fatti troppi problemi con la pur esigente platea di Indiscreto.
A come Autisti – Di gran lunga il lato peggiore della vacanza. Maldestri, quasi del tutto all’oscuro di indirizzi o anche solo punti di interesse generale, tanto da chiedere spesso l’aiuto da casa. La palma dei peggiori va ai tassinari, spesso riottosi nell’usare il tassametro e pessimi nel parlare inglese persino in Malesia. Si sono salvati solo i guidatori di tuk-tuk a Bangkok, spericolati nello spaventoso traffico della tentacolare città e sempre i più rapidi nel giungere a destinazione con slalom degni del miglior Tomba.
B come B@92 – Nel girovagare in cerca di alcool o semplicemente di un bar qualsiasi, cosa per niente scontata soprattutto nella Malesia a trazione islamica, avevamo messo in contro di poterci imbattere in personaggi pittoreschi e caricaturali, tipici del luogo, ma non di incontrare a Penang un serbo amico della famigerata tigre Arkan ed emigrato da Belgrado nel 1992 (da qui il nome del locale) per girovagare tra Venezia, Londra e infine Penang dove vive tuttora con la moglie (che fa il lavoro sporco nel locale, ovvero prepara da bere e serve i clienti mentre il marito pontifica su tutto fumando come un turco, anzi come un serbo) e i due figli. Delle due ore abbondanti di show-sproloqui dietro al bancone ci ha colpito soprattutto una sua frase: “Voi godetevi la vacanza perché se racconto quello che so di Arkan poi ve la rovino…”.
C come Carboni Luca – Ci piace pensare che i thailandesi siano fan sfegatati di Luca Carboni e abbiano copiato il loro saluto tipico (mani giunte e leggero inchino) dall’autore di Farfallina.
D come D’Addario – La storia di Buddha riportata su tavole in un tempio di Penang – col tocco trash della recensione TripAdvisor incorniciata vicino alle urne dei morti – ci ha ricordato da vicino gli ultimi anni di Berlusconi, con una D’Addario che lo accusa e un Fini che molla la nave.
E come Euro di carta – Il richiamo ad uno dei pilastri ideologici dell’ex ministro Tremonti in Asia è una realtà anche per tagli molto piccoli. Praticamente mai ricevute per resto le scomode e illeggibili monetine. Non sappiamo se e in che misura ciò abbia influito nelle fortune delle economie di Malesia e Thailandia, ma in ogni caso ci ha reso più veloci e comodi gli acquisti senza il rischio di perdere denaro per strada o incasinarsi troppo nel pagare.
F come Food – Anzi street food, ambito nel quale l’Asia ci sembra avere una marcia in più rispetto al resto del mondo. Sempre all’altezza sia nella versione light di Kuala Lumpur che a Penang, dove impazzano le cosiddette Food Court, specie di sagre permanenti con cibi di tutti i tipi (menzione d’onore per una bancarella specializzata nel calamaro essiccato). Gli ultimi giorni a Bangkok, come in una virtuale “fine dell’impero” vacanziera ci hanno fatto allargare i cordoni della borsa e così abbiamo testato due ristoranti di una specie di Cracco locale (Ian Kittichai) consigliati da una amica newyorchese e l’Utage, un ottimo ristorante giapponese letteralmente deserto (forse per i prezzi) all’interno dell’Hotel Meridien.
G come Giampiero Mughini – Il libro della vacanza è stato senza dubbio “Compagni addio” (nell’edizione originale dell’87) di Mughini. Un’opera che meriterà una recensione vera e propria in futuro e che abbiamo divorato nel continente dove il comunismo resiste nella sua versione dura e pura: Corea del Nord. Dove ha fatto più danni: la Cambogia di Pol Pot. E dove più è stato ripudiato nella sostanza: la Cina attuale.
H come Hidjab – Ovvero il velo “light” indossato dalle donne musulmane malesi mentre nell’orrendo aeroporto di Jedda in Arabia Saudita dove abbiamo fatto scalo, tra bagni puzzolenti e 2 bar 2 dove accettano solo valuta locale e nessuna carta di credito, impazzava l’inquietante Niqab che lascia scoperti solo gli occhi. Ah, se volate verso l’Arabia Saudita non indossate pantaloni corti perché minacciano di non farvi imbarcare e vi mandano a cambiare.
J come Jersey – Ovvero le maglie tarocche delle squadre. Quasi tutte ben fatte. A Kuala Lumpur abbiamo visto ottime finiture, colori fedeli (tranne la seconda maglia dell’Arsenal, col nero al posto del blu e che secondo noi è persino “Even better than the real thing” per dirla con gli U2), patch complete e una buona varietà: tantissime nazionali, poca Serie A (Milan, Inter, Juve di frequente e Roma, Napoli raramente), molta Premier League, le 3 grandi della Liga, il PSG, mentre nella Bundesliga la faceva da padrone il Bayern Monaco e una sola volta ci siamo imbattuti in una maglia, piuttosto mal fatta, del Borussia Dortmund. Prezzi tra i 2,5 euro (tra i quali un intero stock di maglie della Spagna dell’ultimo Mondiale) e i circa 6 euro delle divise della nuova stagione. A Bangkok invece migliori tessuti, ottimi ricami di nomi e numeri dietro la schiena (a Kuala assenti), ma peggiori patch e loghi degli sponsor tecnici spesso assenti. Prezzi molto simili.
Isole Perhentian – L’isola grande è più per l’Erminio Ottone ormai pantofolato, tra coppie e famiglie con bambini, mentre la piccola che ospita la spiaggia di Long Beach è più adatta a chi cerca la movida notturna. Da segnalare al proposito un suggestivo spettacolo di saltimbanchi con le torce per un pubblico punkabbestia che nel frattempo si stava bombando di narghilè e un simpatico chiosco dove per tutta la sera è stato brutalizzato “The dark side of the moon” in versione reggae.
L come Little India – Nella multietnica Malesia c’è quasi sempre un quartiere indiano dove mangiare (in condizioni igienico-sanitarie quasi tragiche, ma la voglia di cheese naan e chicken tikka fa chiudere gli occhi su tutto) e fare affari. Un bell’esempio di convivenza in un sistema che sembra funzionare e dove gli apparati dello stato sono stati bravi a placare sul nascere la violenza degli estremisti. Qualcuno potrebbe obiettare che anche il meltin’ pot jugoslavo sembrava tutto rose e fiori, ma noi auguriamo lunga vita a questa Malesia.
M come Movida – Freno abbastanza tirato in Malesia, clima molto più liberale e libertino in Thailandia. A Kuala Lumpur e Penang prezzi assolutamente a livello milanese per cocktail a 8-10 euro (molto buoni al Canteen della China House di Penang).
N come Negoziazione – Continua e incessante. Mai abbassare la guardia e trattare con qualsiasi interlocutore (un 20% di sconto si spunta sempre). Ai mercati abbiamo trovato un po’ di tutto: abbigliamento, ma soprattutto prodotti elettronici, in Thailandia di livello superiore rispetto a quanto visto a Kuala Lumpur. Surreale l’offerta di un cellulare Samsung Galaxy S5 taroccato allo stesso prezzo di un S4 anch’esso taroccato…
O come Otelma – Nell’alternanza tra le varie religioni non potevamo non pensare al Mago Otelma. Una buona spinta mediatica e un finanziatore occulto avrebbero permesso anche a lui di ritagliarsi spazio nel marketing religioso locale.
P come Penang – La delusione della vacanza. Mare quasi impraticabile, cliniche (soprattutto dentistiche) ad ogni angolo, marciapiedi sconnessi e pedoni meno considerati di Lamela al Tottenham. Le food court per quanto interessanti e tipiche non valgono le 3 giornate (decisamente troppe) che hanno visto per il resto poche attrazioni di rilievo. Una delle più pubblicizzate, Penang Hill, è un’attrazione da gita di 5° elementare, con un museo sui gufi, piccoli templi buddisti e induisti più una moschea in cui s’è rischiato l’incidente con la quasi invasione di Duccio dello spogliatoio femminile.
Q come quadrati, anzi rettangoli giganti – Sono gli enormi cartelloni pubblicitari (molti dei quali lunghi più di 20 metri) che costeggiano la strada che porta dall’aeroporto di Bangkok alla città. Si vede che in Thailandia non hanno il FAI…
R come Religioni – Una presenza costante, ma non invasiva. Con i cristiani assenti dal “mercato”. I templi buddisti di Penang si sono distinti per l’atmosfera rilassata e la grande libertà concessa ai visitatori mentre a Bangkok si prende tutto molto più sul serio (in Thailandia il buddismo è maggioritario) ed il divieto di fotografare in alcuni punti è fatto rispettare con modi abbastanza rudi.
K come Kuala Lumpur – Più pulita e meno caotica di Bangkok, ma anche molto meno frizzante. Skyline suggestivo con le bellissime Petronas Towers e una quantità di palazzi (grattacieli per i canoni italici) in costruzione da mandare in estasi gli immobiliaristi nostrani.
S come Suca Suca! La frase urlata dall’ultimo autista di Tuk Tuk in cui ci siamo imbattuti prima della partenza da Bangkok mentre ci mostrava un volantino stropicciatissimo con corpi femminili desnudi.
T come Tigri – Nelle cosiddette tigri asiatiche abbiamo visto e toccato anche quelle in carne ed ossa al Tiger Temple che si trova a 3 ore d’auto da Bangkok. Una catena di montaggio – pensavamo di trovarci solo dei monaci buddisti, in realtà era pieno di addetti e volontari – per turisti che vogliono provare l’ebbrezza di accarezzare tigri che ci sono sembrate abbastanza in catalessi (non essendo Giorgio Celli non ci addentriamo sui motivi).
U come Umberto Scapagnini – Abbiamo pensato a lui quando, nella pausa pranzo a Penang Hill, abbiamo deciso di bere un ottimo succo alla papaya, da lui ritenuta una vera manna per il corpo di noi poveri mortali, nonché per quello “tecnicamente immortale” di Berlusconi.
V come voli low cost – In orario e a volte persino in anticipo con prezzi bassissimi per i voli malesi interni (degna di menzione la Malindo Air). Anche per tratte da meno di un’ora ci hanno offerto cracker e succhi di frutta in aerei nuovi, senza un approccio in stile Gestapo sui bagagli a mano come invece accade in Europa.
Z come Zuppe – La killer app della cucina asiatica. Provate di tutti i tipi con carne, pesce, verdure e con diverse qualità di noodles. Impegnative quelle piccanti nel caldo di Bangkok, ma mai una delusione.
Duccio De Santis e Andrea Ferrari, in esclusiva per Indiscreto
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