L’urlo dimenticato di Tardelli

13 Febbraio 2008 di Fiorenzo Radogna

I tempi stavano cambiando e strutturalmente il “Fila” cominciò ad apparire superato sin dal 1932. Nasceva lo “Stadio Mussolini”. Edificato per volontà del Duce in cerca di una sede degna dove far svolgere i Littoriali del 1933 destinati al capoluogo, venne inaugurato il 14 Maggio 1933 dal Segretario del PNF Achille Starace a un tiro di schioppo dal “Campo Torino”. “…Lo stadio è formato da un vasto anello elissoidico – spiega lo sconosciuto autore de “Lo Stadio Mussolini a Torino”, nel periodico mensile L’Architettura Italiana del settembre 1933 – il cui maggior perimetro è di circa 640 mt. La base è costituita da una banchina di granito bianco, sulla quale poggia lo zoccolo in intonaco rosso; dello stesso materiale sono formati i piani a 45° che delimitano tre strisce vetrate per l’illuminazione dei locali interni, coronate da un parapetto bianco. Sopra questo si affacciano ampi finestroni limitati da pilastri in cemento che sorreggono lo sbalzo terminale, sporgente per oltre tre metri con un’inclinazione di 45°. Gli accessi all’interno sono praticati attraverso 27 aperture, la principale delle quali conduce alla tribuna d’onore. Il parterre è in parte coperto dalle gradinate che vi aggettano a sbalzo, ed è leggermente rialzato nella parte più distante dal campo….” La capienza è di circa 80mila posti, che diminuiranno prima a 71mila e, negli ultimi anni, a 48mila.
Una volta giocati i campionati del mondo del 34’, diventerà principalmente lo stadio della Juventus che vi si sposterà in quegli anni dal “Corso Marsiglia”. Sarà la casa bianconera per 57 anni. Dalle rovesciate di Borel al talento bizzoso di Sivori, fino ai prodigi balistici di Platini, per terminare con l’abulia disarmante di Zavarov. E’ lo stadio più vincente d’Italia per una singola squadra, visto che la Juve degli Agnelli vi conquisterà ben 16 scudetti. Sarà anche lo stadio della Nazionale per tante volte, due in particolare da ricordare. Nel novembre del 1977 proprio lì si consacrò squadra di rango l’Italia di Bearzot che sconfiggendo 6-1 la Finlandia (con quattro reti di Bettega) fece capire al mondo, cinque anni prima dei mondiali di Spagna, che i tempi delle “pomodorate” erano definitivamente tramontati. Meno di tre anni dopo l’Italia lì sconfisse l’Inghilterra agli Europei casalinghi, tormentati dallo scandalo-scommesse. Ci sono gol e gol. Alcuni vengono ricordati per la loro importanza, altri per la loro bellezza, altri ancora per la tensione che sbloccano nell’urlo liberatorio del loro autore. Altri però, pur essendo tutt’e tre le cose insieme vengono quasi cancellati dalla memoria, superati da analoghe prodezze, con analoghi protagonisti, ma in circostanze addirittura più importanti. E il caso del gol di Tardelli, siglato all’Inghilterra in quella penultima gara del girone eliminatorio di Euro ’80. Al Comunale, il centrocampista juventino sbloccherà al 78’ una partita splendida e tesissima, consegnando all’Italia la semifinale virtuale della competizione (poi arenatasi sullo 0-0 col Belgio) ed ai tifosi azzurri il primo urlo di gioia irrefrenabile, con una corsa di sessanta metri terminata in placcaggio sotto la tribuna. Vera e propria prova generale di quello che vedrà protagonista lo stesso mediano dopo il 2-0 siglato al “Santiago Bernabeu” nella finale mondiale del 1982. Non tutti ricordano che in quell’occasione, dopo le “mazzate alcoliche” scambiate (sempre al “Comunale”) fra tifosi inglesi e belgi, esordì la “gabbia”. Fatta costruire per contenere i 5mila britannici al seguito e isolarli dal resto dello stadio. Un’immagine che sarebbe diventata consuetudine fino ai giorni nostri.
Il “Comunale” diventò la casa del Torino stabilmente solo dal 1963 in poi. E lì avrebbe vinto l’ultimo scudetto della sua storia. Nel 1976, sotto la guida di Gigi Radice e la presidenza di Orfeo Pianelli, dopo una lunghissima lotta con la Juventus di Trapattoni, che l’anno dopo dovette fare ben 51 punti (sui 60 disponibili) per avere la meglio dei granata finiti un punto dietro. Ma il vecchio Comunale non fu solo calcio: ospitò il museo dell’automobile fino alla fine degli anni ‘50 e svariati concerti. Memorabile quello dei Rolling Stones durante i Mondiali dell’82, quando Mick Jagger si presentò sul palco con la maglia della nazionale, con tanta voglia di festeggiare e tanti saluti alle sue lontane origini tedesche. E poi i Police, Madonna…E tanta atletica leggera, in particolare negli anni ‘ 70 con le folate a indice alzato di Mennea, la Simeoni, Cova e la Dorio e tutti i grandissimi campioni internazionali di quegli anni. L’ultimo avvenimento importante il vecchio Comunale lo ospitò in occasione della finale di Coppa Uefa Juventus-Fiorentina nel maggio del 1990. In campo (con i viola) Roberto Baggio, per una degna chiusura, prima di diventare campo di allenamento bianconero e di una “pensione” a tempo.
Sì, perché visto che a Torino gli stadi hanno disimparato a progettarli, in occasione di “Italia ‘90” ecco sorgere in zona periferica quella “cosa” che sarà chiamata “Delle Alpi”. Una via di mezzo fra un’astronave ed una cattedrale, con una pista d’atletica splendida ma che sarà usata solo per meeting di secondo e terzo livello, con spalti (soprattutto delle curve) lontanissimi dal terreno di gioco e una visibilità da loggione. Sgradito e sgraziato sin dalla prima amichevole poche settimane prima dei Mondiali. Ha 69.041 posti a sedere (di cui 62mila al coperto), disposti su 3 anelli per un’altezza dal campo massima di 33 metri (e scusate se è poco). Struttura “sfortunata” sin dal nome: al posto che “Vittorio Pozzo” l’arena sarà chiamata “Delle Alpi”. In linea con il tratto anonimo e freddo di quegli spalti, insomma. Giusto per capire: l’inutile pista d’atletica fu imposta dalla necessità di poter accedere al credito sportivo del C.O.N.I. (e dal compianto Primo Nebbiolo, torinese ex presidente della F.I.D.A.L.), mentre a progettarlo fu il giovane e sfortunato architetto piemontese Sergio J. Hutter. Nonostante la sua bruttezza, di vicende calcistiche il Delle Alpi ne ha viste parecchie. Durante i mondiali del 90’ fu Caniggia a gelare i sogni di grandezza brasiliani, “infiocchettando” in contropiede a dieci minuti dalla fine la catenacciara difesa voluta da Sebastiao Lazaroni, mentre sempre lì, poco dopo, ci fu la semifinale fra Inghilterra e Germania. Al 59′ una palla avvelenata di Brehme fu causa dell’autorete del maldestro Parker, mentre all’80’ fu il grande Lineker a pareggiare a modo suo: di rapina. I rigori, con gli errori di Pearce e Waddle, consegnarono la finale ai teutonici: in Inghilterra ancora bestemmiano al pensiero del palo di Waddle nei tempi regolamentari.
Il “Delle Alpi” sarà anche lo stadio del ritorno di una Juve scudettata (quella del primo Lippi e del secondo Lippi), ma anche quella di Moggi e dei gol inspiegabilmente annullati (quello del Cannavaro del Parma alla Juventus) e dei rigori non dati come quello che Ceccarini negò all’Inter di Simoni per fallo (meglio dire “tramvata”) di Iuliano su Ronaldo e delle coppe europee. Con la Juve che viaggiava a mille in direzione finale di Champions League e il Torino di Mondonico che s’inchinava solo a un fortissimo Ajax nella Finale di Coppa UEFA del 1992, dopo aver fatto fuori anche il Real Madrid. Ma sarà anche lo stadio della serie B “sistematica” di un Toro confuso dalle promesse cimminelliane e dalle iperboli lessicali di Romero. L’ultimo atto juventino dello stadio, prima della sua (forse temporanea) pensione il 15 maggio 2006 con la festa per il 29esimo scudetto bianconero. Con brindisi e festeggiamenti vaneggianti degni del bunker della cancelleria. L’ultimo atto di marca “Toro”, invece, sarà un Torino-Mantova, ritorno della finale playoff per la serie A, grazie alla quale i granata saranno promossi, a un solo anno dal fallimento. Ad assistere alla gara 58.560 spettatori per 886.001 euro d’incasso. Un dato come tanti, eppure significativo.
Il perché è semplice: alla ripresa dei campion

ati, nel settembre successivo, infatti, sia Torino che Juventus troveranno una nuova casa ad attenderli: il vecchio “Mussolini”, diventato Comunale ed ora ristrutturato e trasformato in “Olimpico”. Capienza 27100 spettatori, ora scesi a 25500 circa. Nemmanco la metà degli spettatori, raccolti, ad esempio, per i playoff di serie B. Nei progetti questa “bomboniera torinese” ritratteggiata per le olimpiadi invernali del 2006, quando si darà luogo alla ristrutturazione del “Delle Alpi” (destinato alla Juve), sarà la casa esclusiva del Torino e probabilmente prenderà il nome di “Stadio Grande Torino”. Vincolato nelle sue modifiche dalla sovrintendenza ai beni ambientali e architettonici, oltre alla copertura completa ed a un esile (in tema di capienza) terzo anello sì è dotato di oltre 90 telecamere che controllano l’ intera struttura dentro e fuori, tanto che lo Stadio Olimpico di Torino, è oggi uno dei pochi in Italia che rispetta tutte le norme della “legge Pisanu”. Certo, ora il vero problema è quello della capienza. Un problema insormontabile, visto che progetti alla mano al massimo si potrà arrivare a portarla intorno ai 33mila posti con tribune smontabili al di sotto dell’attuale anello inferiore. Sempre troppo poco, anche ammesso che si voglia ampliarlo.
Né tantomeno sembra che il progetto che riguarderà il “Delle Alpi” possa dare una vera svolta all’impiantisca torinese. Di proprietà del Comune di Torino fino al giugno 2003, anno in cui la Juventus ha acquistato il diritto di superficie sull’area dello stadio per la durata di 99 anni per 24 milioni di Euro, il “Nuovo Delle Alpi” avrà 40.600 posti, senza la pista di atletica con una copertura in teflon trasparente che farà filtrare la luce all’interno dello stadio. A inizio del 2007 il CdA della Juventus Football Club ha approvato il progetto del nuovo stadio del club che sorgerà nell’invaso dell’attuale “Delle Alpi” (finanziato con fondi di almeno 100 milioni del credito sportivo). Successivamente l’approvazione anche da parte del Comune. Così Torino tornerà ad avere due stadi. Uno per la Juve, uno per il Toro. Difficile dire se qualcuno avrà voglia di “levarsi il cappello”, certo è invece che ben presto si tornerà a parlare di altri stradi da costruire. Più grandi, più capienti, perché sì: “piccolo e bello”, ma solo quando si parla di bomboniere. (fine quinta e ultima parte)

Fiorenzo Radogna
fiorenzoradogna@tele2.it

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