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Calcio

L’uomo che sapeva le lingue

di Stefano Olivari

Pubblicato il 2011-02-21

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di Stefano Olivari

7 – La passeggiata della Pro Vercelli, la nascita dell’azzurro, un Pozzo di cultura e i Giochi dei finti dilettanti.


Nel 1911 il cruccio della FIGC è quello di non riuscire ancora a diffondere il calcio di (relativamente) alto livello in tutta Italia, ma i dibattiti dell’estate portano ad una sostanziale conferma dell’assurda formula dell’anno prima. In sostanza un campionato ‘vero’, la cui vincitrice incontrerà in una finale zoppa la vincitrice del girone veneto-emiliano. Il campionato vero viene almeno giocato da un numero pari di squadre: da 9 diventano 10 con l’ammissione del Casale. Non proprio una promozione, ma qualcosa di simile: infatti nella stagione 1910-11 Casale e Racing Libertas Milano sono state le squadre migliori dei gironi piemontese e lombardo di seconda categoria e in maniera del tutto arbitraria (in quello pseudo-campionato cadetto sono coinvolte anche altre tre regioni) vengono invitate dalla FIGC a giocare uno spareggio per conquistarsi il diritto di essere la decima della Prima Categoria. In questa fase parlare di diritto sportivo è una forzatura, perché è già un miracolo trovare dieci club in possesso dei requisiti minimi per la Prima Categoria. Sul piano sportivo la Pro Vercelli vince ancora il campionato dei grandi, superando di un punto il Milan, scherzando poi con il Venezia (sei a zero e sette a zero) nella doppia finale. La Pro Vercelli, spina dorsale della Nazionale, è una degna campione d’Italia ma i campionati sono ben lontani da un’organizzazione e da una diffusione territoriale accettabili. Il Centro-Sud viene gestito attraverso la cosiddetta Terza Categoria Regionale, nient’altro che una serie di tornei locali con campioni solo locali e nessun interscambio con le categorie teoricamente superiori. Diciamo teoricamente perchè i confronti, anche a livello di amichevoli, sono rarissimi. Una fase confusa e tutto sommato triste del nostro calcio, che fra poco vivrà la sua prima grande avventura con la Nazionale: i Giochi Olimpici di Stoccolma.
Abbiamo lasciato la Nazionale alle sue prime partite, ma non abbiamo ancora detto che nel frattempo la sua maglia è diventata azzurra. Alla terza uscita, il 6 gennaio 1911 contro l’Ungheria all’Arena di Milano. il bianco viene lasciato per il colore che con varie tonalità diventerà quello definitivo. Tutto nasce dalla proposta di alcuni giornali, oltre che di vari dirigenti della FIGC, di aggiungere alla maglia qualcosa che ricordi l’unità nazionale. Si pensa allo stemma dei Savoia (c’è la monarchia, con re il bisnonno del futuro presentatore Emanuele Filiberto) sulla maglia bianca, poi si opta per una soluzione più radicale: tutto azzurro, colore dominante nello stemma sabaudo, con stemma sabaudo sul petto. Il problema alla fine non è il colore della maglia, ma un gioco che non riesce a decollare: una serie di amichevoli contro Francia e Svizzera mette in discussione l’opprtunità di una commissione in cui chiunque ha i ‘suoi’ giocatori e le sue preferenze, anche se Meazza (Umberto, ovviamente) avrebbe in teoria l’ultima parola. I Giochi di Stoccolma si avvicinano e il terrore di una brutta figura si impadronisce della FIGC, che prende la sensata decisione di affidare la Nazionale all’uomo giusto: Vittorio Pozzo.
In questa nostra piccola storia ci siamo ripromessi di parlare delle trasformazioni del calcio italiano, sorvolando sulle biografie dei suoi grandi personaggi. Ma gli inizi di Vittorio Pozzo meritano comunque di essere ricordati, così come il modo in cui arriva a 26 (!) anni a guidare la Nazionale azzurra. Pozzo non è di famiglia ricca, ma è di sicuro un ottimo studente e un fanatico di calcio: nella Torino di inizio Novecento è dentro praticamente a qualsiasi iniziativa sportiva. Discreto giocatore, non può definirsi un professionista ma riesce a finanziare i suoi viaggi in giro per l’Europa con lavori occasionali. Si innamora dell’Inghilterra e di tutto il suo sport, ma impara molto anche in Svizzera dove riesce addirittura a disputare una mezza stagione con il prestigioso Grasshoppers. Si sente più portato per dirigere che per giocare, così quando per problemi anche finanziari torna dalla famiglia a Torino è a soli 20 anni fra i fondatori del Torino, dopo le vicende cittadine di cui abbiamo già parlato: l’FC Torinese insieme a un gruppo di fuorusciti juventini (materia del contendere il professionismo) e ad altri soci (fra i quali Pozzo) creano la nuova entità, quella che arriverà fino a Cimminelli. Pozzo per cinque stagioni gioca nel Torino, senza infamia e senza lode, poi nel 1911 si ritira e dà una mano nelle gestione del club. Ne diventerà presto (fino al 1922) direttore tecnico, ma ancora non riesce a vedersi come professionista del calcio. Mentre gioca nel Torino è riuscito a trovare un impiego alla Pirelli ed è proprio da funzionario della Pirelli che riceve la proposta di allenare la Nazionale italiana. Non ha un grande curriculum, pur essendo conosciuto dai vertici federali per il suo attivismo organizzativo. Rispetto ai predecessori e ai concorrenti per il posto di c.t. ha però un enorme vantaggio: è l’unico a conoscere varie lingue, dall’inglese al francese, ed è quindi ritenuto la via di mezzo ideale fra l’allenatore ed il dirigente accompagnatore. Per la verità ha anche un’altra caratteristica interessante: non pretende compensi. E’ così, per motivi extracalcistici, che l’Italia inizia a conoscere quello che sarà il suo allenatore più grande.
La cultura, non solo calcistica, di Pozzo è grande ma la nazionale italiana nel 1912 non è ancora all’altezza delle migliori europee. I Giochi Olimpici di Stoccolma lo confermano, visto che la squadra azzurra esce subito agli ottavi di finale contro la Finlandia. Partita giocata con grande ardore, stando alle cronache dell’epoca, persa solo ai supplementari per 3 a 2. Discreto interesse (circa 500 spettatori) e un arbitro che Pozzo incrocerà ancora in futuro, ma come avversario: l’austriaco Hugo Meisl, proprio l’allenatore del Wunderteam. Il confronto con i britannici campioni olimpici in carica (e che anche in Svezia vinceranno l’oro), che Pozzo sogna per la semifinale, rimane un sogno. In semifinale, dopo avere battuto la Russia, va la Finlandia che con i britannici non vede palla: 4 a 0, le distanze sono ancora notevoli anche se la Gran Bretagna non ha certo schierato la miglior formazione possibile. Già, perché all’Olimpiade partecipa solo chi è formalmente dilettante. La cosa curiosa è che i britannici campioni sono davvero dilettanti: anche se molti di loro giocheranno in squadre professionistiche, nel 1912 sono studenti o ufficialmente lavoratori in ambiti extra-sportivi. Quasi nessun dilettante vero c’è invece in altre nazionali, Italia compresa: difficile paragonare il milanista De Vecchi o l’interista Bontadini a uno studente di Oxford come Arthur Berry. Pozzo la prende comunque bene e motiva l’Italia per il torneo di consolazione, riservato alle sconfitte nei primi due turni. Battuta la Svezia 1 a 0, la squadra azzurra viene triturata 5 a 1 dall’Austria in semifinale. E’ tutta esperienza, che comunque fa capire quanta strada ci sia ancora da percorrere. Pozzo ritiene la sua missione compiuta e torna al suo lavoro in Pirelli, pur continuando a gravitare in zona federale. (7-continua)


stefano@indiscreto.it

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