L’ultimo gioco di Pacman

27 Febbraio 2007 di Roberto Gotta

1. Adam ‘Pacman’ Jones, nome splendido ma curriculum personale meno brillante, ha fatto durante il weekend dell’All-Star Game NBA di Las Vegas una delle tante cose che non dovrebbe mai fare chi abbia a cuore il buon gusto e la dignità, concetti che, ne siamo consapevoli, sono abbastanza desueti in molti ambiti, e certamente non praticati con assiduità tra gli atleti professionisti (non solo americani, sia chiaro), che del resto spesso non hanno semplicemente la cultura di base per apprezzare la differenza tra esuberanza e palese pacchianeria. Dicevamo di Jones, cornerback dei Tennessee Titans: nel corso di una delle feste di contorno all’ASG, così numerose che alla fine è l’All-Star Game medesimo a diventare un avvenimento collaterale, l’incontrollabile Pacman ad un certo punto ha cominciato a lanciare banconote sulle 40 spogliarelliste (l’avevamo pur detto che di buon gusto nemmeno si parla in casi come questi…) che si stavano esibendo su un palchetto di un locale notturno. Jones, secondo il mandato di perquisizione emesso per i motivi che presto illustreremo, intendeva solo creare un “effetto visivo” particolare, ma non sorprendentemente le ballerine hanno pensato che quei soldi fossero effettivamente per loro, ed hanno messo in atto quel vecchio detto, insomma imparata l’arte della danza l’hanno repentinamente messa da parte e si sono dedicate ad una più prosaica caccia al bigliettone. Ovvio il parapiglia, ovvi gli spintoni, persino ovvio, nella sua estetica grottesca, che il manager delle ragazze ed un amico, mantenendo alto il tono etico e di buon gusto della serata, si siano procurati un sacco dell’immondizia per raccogliere con più efficacia il denaro. Quando poi Jones e uno dei suoi accompagnatori – se non hai un entourage con almeno un tizio con la faccia da cattivo non sei neppure degno di essere un atleta pro – si sono dati da fare per riprendere i soldi, sono volati i ceffoni, le bottigliate di champagne (di una spogliarellista ad un… poliziotto che la stava trattenendo, accompagnando il delicato gesto con morsi e strepiti), gli insulti, e alla fine le pistolettate, da parte di un personaggio ancora non identificato che ha ferito una donna e due guardie giurate, una delle quali rimarrà paralizzata. Non è la prima volta che Pacman, che non ha ovviamente responsabilità diretta della sparatoria ma ha mostrato il buon senso di un bambino delle elementari (oltre a tasche capienti, visto che in totale ha sparpagliato 81.000 dollari), finisce in cronache non sportive, anzi in precedenza per tre volte era stato nei guai con la legge per motivi peraltro mai tragici, ma è certo che Roger Goodell, il commissioner della NFL (non è più il caso di scrivere ‘nuovo commissioner’, visto che ha ormai completato la sua prima stagione in sella), sa che quello della fin troppo frequente menzione di giocatori NFL nella cronaca nera è un problema da affrontare. Poi, chi vuole fare del sensazionalismo e dimenticare che la larga maggioranza dei giocatori non commette nulla non solo di illegale, ma neppure di improprio, faccia pure, ma nemmeno bisogna dimenticare che storicamente bastano nove mele bacate tra mille bravi cittadini per rovinare una reputazione. E non è un esempio campato per aria: come noto, a Cincinnati sono esattamente nove i giocatori che negli ultimi tredici mesi sono stati arrestati, tra cui cinque dei sedici scelti nel draft tra 2005 e 2006. I tifosi locali non ne possono più, ed hanno, francamente, mille ragioni.
2. E’ finita martedì a Indianapolis la NFL Scouting Combine. Abbiamo già spiegato di cosa si tratti, ma in due parole: di fronte a decine di addetti ai lavori, general manager, osservatori e agenti, i candidati ad essere scelti nel draft NFL del 28 e 29 aprile si esibiscono in prove fisiche, atletiche, attitudinali. E’ un carnevale infernale di commenti, speranze, delusioni, esibizioni, che viene facile paragonare ad una sorta di mercato della carne, se non fosse che la carne non è in vendita ma solo sceglibile al draft, e che – santo cielo – possiede un’anima. Sinceramente, per non prendere in giro nessuno: faremo più avanti una piccola analisi pre-scelte, piccola perchè per indole ed antica abitudine non ci garbano per nulla le esercitazioni di mock draft (i draft ‘immaginari’, di pura previsione o illazione) che altro non sono che la versione statunitense delle voci di calciomercato. Non avendo seguito la Scouting Combine, sarebbe una presa in giro ai lettori parlarne come se fossimo stati lì. Ma a tempo debito avremo informazioni e documentazioni adatte, e in quel momento ci sarà qualcosa in più da dire.
3. Forse è notizia vecchissima, anzi vetusta, ma Cam Cameron, il nuovo head coach di Miami, è quasi fuori posto ai Dolphins. O forse nella NFL, ma non per il talento o la preparazione. Un po’ come quando si diceva qualche anno fa che qualsiasi giocatore di basket proveniente dal Texas fosse un’anomalia, perchè là conta solo il football (anche se non è del tutto vero, come non è vera quasi nessuna affermazione categorico-geografica), allo stesso modo c’è chi in Cameron vede unicamente un signore (45 anni) specializzatosi nel reclutamento e nell’allevamento di buoni giocatori al college e nello sviluppo di efficaci filosofie offensive nella NFL, particolarmente nell’ultimo quinquennio a San Diego, anche se la parola finale spettava all’head coach Marty Schottenheimer, che a lungo, ne abbiamo parlato la settimana scorsa, è stato criticato per la mancanza di coraggio nei playoff. Bene, Cameron però porta con sé una curiosa etichetta cestistica: è infatti nato a Chapel Hill, dove ha sede North Carolina, e dall’età di 12 anni è cresciuto a Terre Haute, nell’Indiana, città che ospita Indiana State, di cui riparleremo tra poco. Come point man (in italiano si dice… playmaker) della South Vigo High School è arrivato per tre anni su quattro alla Final Four del torneo statale (e nell’Indiana significa uno status di quasi celebrità) e nel frattempo era anche un eccellente quarterback. Tutto ciò lo aveva portato a guadagnarsi una borsa di studio doppia per Indiana, dove dunque è stato allenato sia da Lee Corso nel football che da Bob Knight nel basket, sport nel quale ha messo a frutto l’esperienza maturata nelle partitelle all’aperto che aveva fatto, a Terre Haute, con alcuni giocatori di Indiana State. Tra questi, Larry Bird. Altro che sei gradi di separazione.
4. Detto che poi che Cameron di Indiana (football…) è diventato head coach nel 1997, torniamo per un attimo a Corso. E’ un personaggio notissimo, ora: fa parte del trio di presentatori di College Gameday, l’intrigante trasmissione che ogni sabato precede le dirette di college football su ESPN e che si svolge in uno studio all’aperto, fuori da uno stadio, con centinaia di tifosi bercianti alle spalle. E’ tradizione che alla fine, pochi minuti prima che dall’interno dell’impianto inizi la diretta della partita, Corso faccia il suo pronostico indossando la… testa della mascotte della squadra che ritiene favorita, con grida di scherno se i tifosi alle spalle tifano per l’altra. Spettacolare, anche se a pensarci bene non è molto diverso dal pendolino di Maurizio Mosca (esiste ancora?). Ma noi prendiamo Corso, sempre, perché almeno fa analisi tecnica, non pagliacciate.
5. Segnalato in gita in Italia Tom Brady. Si tratta di una notizia tristissima, ma non fraintendeteci: è che il nome di Brady l’abbiamo colto con la coda dell’occhio leggendo forse su Dagospia una serie di cosette. Si narrava infatti della vacanza italiana di Gisele Bundchen, modella, fra l’altro ex di Leonardo Di Caprio, che sarebbe la fidanzata di Brady. Ma il dramma, per tutti gli sportivi che ancora non si sono fatti prosciugare il cervello da chi insiste a abbinare spettacolo ad agonismo vero (visto ad esempio come stanno cercando a tutti i costi di far passare il… poker come sport?), è che appunto la presenza di Brady, che è ‘solo’ tre volte vincitore del Super Bowl e due volte Mvp, sia nomimata quasi di sfuggita rispetto a quella della fidanzata. Se non andiamo errati, Brady era citato come “il Matt Damon del football”. Si

gnore, NON salvarli, perchè non sanno quello che fanno.
6. Un piccolo aneddoto, per finire con levità. Ken Aagard, responsabile della CBS Sports per la produzione delle telecronache, aveva iniziato ad affrontare le questioni organizzative per il Super Bowl XLI giocatosi a Miami il mese scorso (E’ GIA’ PASSATO UN MESE???) con un discreto anticipo: agosto 2005… “Non volevamo sorprese” ha risposto a chi era rimasto colpito. Buonanotte.

Roberto Gotta
chacmool@iol.it

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