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L’ultima notte di Ayrton Senna e della nostra Formula Uno

Stefano Olivari 06/04/2016

article-post

terruzzi_suite200_cover_sitoTerruzziIl recente incidente di Fernando Alonso, con danni limitati, ci ha ricordato che in Formula Uno la sicurezza è aumentata a tal punto che da quel drammatico fine settimana di Imola 1994 (venerdì grave incidente per Barrichello, sabato la morte di Ratzenberger, domenica Senna) si è verificato un solo incidente mortale, con vittima Jules Bianchi. Ma la storia della fine di Senna, con tanto di processi e di responsabilità accertate (il piantone dello sterzo, che aveva ceduto rendendo la Williams ingovernabile, era stato modificato dopo le prove del sabato), è meno interessante e complessa di una vita che Giorgio Terruzzi ha raccontato nel suo Suite 200 – L’ultima notte di Ayrton Senna (66thand2nd).

Lo ha fatto non ribadendo l’ovvio o riproponendo il racconto delle sue vittorie, anche perché di particolari inediti sui gran premi ce ne sono pochi, ma usando uno schema insolito per un libro su uno sportivo. Terruzzi racconta infatti la serata e la notte prima della gara del campione brasiliano, all’Hotel Castello di Castel San Pietro Terme, dove Senna si considerava quasi di casa nonostante di case ne avesse molte in giro per il mondo: a Monte Carlo per motivi fiscali, in Algarve nella realtà, ad Angra dos Reis per respirare, più altre che unite a mille proprietà ed attività imprenditoriali rendevano la sua vita professionale complicatissima. Ma sempre più facile di quella privata, in parte soffocata da una famiglia quasi perfetta dove non era facile integrarsi: per la fidanzata di turno (Adriane l’ultima) ma anche per lo stesso Senna, che nella determinazione feroce che metteva in pista nascondeva ambizioni, paure, complessi.

Terruzzi entra nella testa del campione e immagina una notte passata quasi in bianco, fra mille pensieri e bilanci al tempo stesso provvisori e definitivi. Il matrimonio affrettato e infelice per tutti, l’affermazione in Inghilterra in Formula Ford e in Formula Tre, gli inizi in Formula Uno con Prost che lo individua subito come ‘il’ rivale, le invidie di tanti colleghi (Piquet su tutti, da lui dipendono le battute sulla presunta omosessualità), lo spingersi oltre i confini del coraggio e anche della correttezza (il finale del Mondiale 1990, con Prost passato dalla McLaren alla Ferrari, può rendere l’idea), la religiosità ostentata, il divismo più subìto che studiato, il giovane fenomeno (Schumacher) che fa paura come una volta faceva paura lui, la beneficenza davvero silenziosa (soltanto dopo la morte si saprà), la ricerca della perfezione e di una impossibile verità nella vita. All’alba Senna si addormenta sereno, perché fra tanti errori ritiene di essere sempre stato se stesso. E con un’espressione serena lo vedrà, ormai morto, il medico della F1 che lo conosce da sempre, nonostante la situazione e il sangue brasiliano che inonda la bandiera austriaca che si era portato con sé e che avrebbe voluto sventolare dopo la vittoria in onore di Ratzenberger.

Terruzzi riesce a raccontare il tutto con delicatezza e per sottrazione, le lacrime nascono spontanee e non per artifici retorici, filtrando il già noto con la sua frequentazione personale del pilota in tanti anni da cronista sul campo. È evidente il rimpianto per la Formula Uno di una volta, quella che non era di base più spettacolare di quella di adesso (anzi, in certi anni la macchina ‘giusta’ correva praticamente da sola) e nemmeno più onesta, ma che aveva dimensioni finanziarie minori e proprio per questo era alimentata da grandissimi rivalità, personalità, caratteri, uomini. Un’epoca che è morta con Senna.

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