Il nuovo Lucescu si chiama Seedorf

29 Aprile 2014 di Dominique Antognoni

La prendiamo un po’ alla larga, promettendo comunque soddisfazioni a chi avrà la pazienza di leggerci. E poi se avete sfogliato giornali interi senza leggere una notizia potrete resistere per qualche riga di Indiscreto, che nemmeno si paga. Roberto D’Agostino, da anni, viene invitato ovunque a raccontare il successo del suo sito Dagospia: spiega a tutti, ripetendolo ogni volta, che in un paese con giornali e giornalisti liberi il suo sito non avrebbe alcun motivo di esistere. Nello sport vige più o meno la stessa regola: Indiscreto nella sua modestia (scriviamo quando possiamo e vogliamo, quindi poco) non avrebbe alcun appeal presso i 29mila che ogni mese lo leggono se i quotidiani pubblicassero le notizie e se gli opinionisti pensassero a infierire e non ai benefit di fine mese. Però si sa, tutti tengono famiglia e il resto viene dopo. Molto dopo. Troppo dopo.

Sabato sera, a San Siro dopo Inter-Napoli, un uomo di calcio e media di lungo corso ci raccontava episodi stupefacenti, che forse tratteremo in un articolo a parte. Ci ha colpiti davvero la frase diventata il mantra del direttore di uno dei primi quotidiani d’Italia, che ogni giorno ripete “Io non voglio problemi”. Come si diceva una volta, la stampa è il cane di guardia della democrazia. Si, il cocker. Anzi, il cane da borsetta. Tutto questo per dirvi che in un paese con giornalisti che amano le notizie o, se preferite, con giornalisti messi in condizione di pubblicarle, il nostro articolo non avrebbe senso, sarebbe già roba vecchia. E invece eccoci qui a raccontarvi scenari passati e attuali, possibili oppure probabili.

Partiamo da Donetsk, dove il nostro amato Mircea Lucescu non sa cosa fare. Ha perso il sonno per aver detto di no a Moratti nella scorsa primavera, dopo Inter-Bologna 0-1 e prima di Inter-Tottenham 4-1. L’ex patron lo chiamò disperato, lui entusiasta accettò tranne poi rinunciare su consiglio dei suoi due collaboratori storici, i bresciani che si occupano della preparazione fisica. Gli dissero che la squadra era a pezzi fisicamente e che sarebbe stato meglio aspettare l’estate. Andò come andò: Moratti riconfermò Stramaccioni nel finale di stagione, poi cambiò idea, si spazientì, prese Mazzarri anche perché Lucescu nel frattempo aveva rinnovato senza convinzione con lo Shakhtar. Badate bene: al di là degli aspetti umani, Moratti passò in poche settimane dal volere un calcio tecnico ad uno in contropiede. Quando si dice la coerenza. Ma forse era confuso, perché nel frattempo Thohir era diventato più di un’ipotesi.

Ora Mircea sta per firmare con il Galatasaray perché teme, tanto per parlare chiaro, che Rinat Akhmetov, oligarca ucraino patron del club, fugga dall’Ucraina o che venga arrestato (anche non succedesse meglio partire finché si è in tempo, vale sia per il patron che per il tecnico…). Ma l’Inter cosa c’entra in tutto questo? Semplice: noi lo abbiamo tentato, gli abbiamo fatto capire che in questa intristita Milano c’è ancora voglia di grande calcio, che il suo Shakhtar visto l’anno scorso in Champions piaceva da matti al mondo intero. Gli hanno venduto Willian e Fernandinho ma lui vince lo stesso, sta per conquistare il settimo titolo ucraino in dieci anni: calcio spumeggiante, offensivo, possesso, movimenti, palla a terra. Insomma, a parità di quinto posto San Siro impazzirebbe, altro che segnare in contropiede in casa contro il Cagliari. Una nostra idea, che non merita nemmeno il fantamercato perché Lucescu al 99% andrà al Galatasaray. Il che significa Mancini a spasso, un altro sogno nerazzurro che tecnicamente diventa possibile e forse anche di più, dal momento che nel 2014 Mancini esercita su Thohir lo stesso fascino che esercitava su Moratti nel 2004. Tutti sanno che Mancini è uno dei pochi nomi nella testa di Thohir per il dopo Mazzarri, se si dovesse concretizzare l’arrivederci e grazie con il maestro del 3-5-2, fra tre partite. Alcuni non lo vogliono scrivere perché “non è il momento”, oppure “solo il giornalista ics può farlo”, per non dire dell’evergreen “meglio di no, perché guastare il buon rapporto che abbiamo con la società”. Già, perché mai. Ma chi è in corsa per l’Europa League, l’Inter o i giornalisti che la seguono? Alcuni di questi non meriterebbero nemmeno la defunta Intertoto. Insomma, cinque righe di Franco Rossi avrebbero seppellito le loro paginate di inutilità ‘concordate’.

Così di Lucescu all’Inter si può parlare solo al passato. Da Donetsk il buon Mircea sa che la sua carriera sta per finire. Ha 69 anni e chi gli parla spesso sa che ha un solo rimpianto, non aver dimostrato all’Inter il suo valore. Oggi sarebbe l’unico che verrebbe davvero gratis (d’altronde qualche milione l’ha messo da parte), a piedi, solo per costruire una squadra vincente, partendo da calciatori senza nome, insegnando loro come muoversi e come vincere. Ha costruito uno Shakhtar vincente per tre volte e per tre volte gli sono stati ceduti i migliori: è sempre ripartito conquistando l’Europa League e il resto. Ma nella vita i momenti giusti passano, ammesso che quella di rilevare l’Inter da Stramaccioni (ci esalta vederlo alla lavagna di Fox Sports, forse il suo vero ruolo) fosse una scelta giusta.

L’ultima sua volta a San Siro sulla panchina dell’Inter fu quel 17 marzo 1999, la notte di Inter-Manchester United nei quarti di finale di Champions League. Squadra decimata e soprattutto dilaniata da lotte interne, Sousa e Ronaldo da una parte, Simeone e Zamorano dall’altra, con Djorkaeff, Baggio, Winter e Bergomi spettatori non sempre neutrali. Ce lo ricordiamo come se fosse oggi: a quei tempi non era abitudine fare il riscaldamento in campo (oggi lo fanno quasi tutti), Lucescu lo fece fare per creare empatia fra il pubblico e la squadra. Osservava i suoi dall’uscita del tunnel, situato sotto la Curva Nord: era in trance, guardava lontano, nel vuoto, avendo in mente quello che gli era successo tre giorni prima. E qui attenti alle analogie con il presente non solo interista.

Domenica mattina, dopo il derby finito 2-2, alla Pinetina Paulo Sousa convoca un noto giornalista televisivo all’insaputa della società (vi ricorda qualcuno?). Ore 9,30, in maniera miracolosa le porte si aprono per la troupe televisiva, il portoghese è pronto ad avvelenare l’aria prima della gara del decennio. Racconta delle difficoltà della squadra, delle poche certezze tattiche, del fatto che così non si vincerà contro i Red Devils. Certo, con lui in panchina non si vince. Lui vuole giocare ed è un buon motivo per creare malumori in uno spogliatoio già diviso. Lucescu viene a sapere tutto a cose fatte, ci chiama e ci chiede come comportarsi, soprattutto di chi fidarsi. In altre parole, quali giornalisti sono in buona fede e quali no. Era nuovo nell’ambiente Inter, forse ancora un po’ naif e sicuramente romantico, facile da accoltellare in un ambiente incancrenito e in una società dilettantistica (sia pure con soldi che a quell’epoca spendeva solo il Real Madrid). Nell’assenza di qualsiasi tipo di dirigente riesce comunque a creare un fronte mediatico anti Sousa, a isolarlo, con un messaggio forte e chiaro: “Se uno ci fa una porcata del genere come possiamo fidarci di lui in campo?”. Niente contro il giocatore, eccellente alla Juventus e al Borussia Dormund ma ormai finito fisicamente per vari motivi, molto contro il personaggio e chi lo manovrava. E la partita? Contro i futuri campioni l’Inter di Lucescu e di un Ronaldo dimezzato fa quello che può: gioca bene, va in vantaggio con Ventola, ha la palla del raddoppio e dei supplementari con Zé Elias, poi Scholes pareggia e chiude di fatto lì la più folle stagione del morattismo.

Con tutti i suoi limiti ed errori, Clarence Seedorf merita solidarietà se non altro perché vive una situazione simile: la fronda contro di lui di alcuni giocatori e giornalisti, guardate un po’, guidati in alcuni casi dagli stessi personaggi e procuratori. Era il 1999 allora, siamo nel 2014 adesso. Le situazioni sono analoghe per molti versi. Entrambi, pur molto amati dai rispettivi presidenti, sono lasciati soli, abbandonati e senza alleati. Differenza: Lucescu scelse di difendersi, Clarence invece attacca. Se lo può anche permettere: Mircea viveva con il peso ed il complesso di essere rumeno e di essere chiamato apertamente “zingaro di merda” negli spogliatoi (Sousa dixit), l’olandese ha un ego e un carattere che forse induce chi gli sta intorno a non dire apertamente quello che pensa (leggendario il ko che subì Hierro negli spogliatoi ai tempi del Real) di lui. E poi la società Inter era inesperta, erano i tempi in cui Moratti credeva che torti fatti e subiti si compensassero nell’arco di una stagione (qualche bolso editorialista lo scrive ancora). Il Milan invece no, tutto si può dire di Galliani tranne che non sappia come funziona il calcio italiano.

Strano ma vero, anni fa si prendeva per i fondelli la società nerazzurra perché, si diceva, solo all’Inter potevano succedere certe cose. La ruota gira: ora al Milan accade proprio quello che prima dell’arrivo di Mancini era all’ordine del giorno in via Durini e alla Pinetina. E siamo solo agli inizi, perché dopo Clarence toccherà a qualcun altro.

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