Attualità
Lontani da Doncic
Oscar Eleni 27/06/2022
Oscar Eleni fra i mufloni delle isole Far Oer, che sono gli unici a capire come il fardello della colpa sia la cosa che i cosiddetti umani non possono sopportare da soli. Siamo sicuri che non è colpa di nessuno se un “robot” ha sparato pubblicità e rubato la linea ai mondiali di nuoto anche quando c’erano lacrime e abbracci come alla fine dei 100 rana della Pilato. Non possono avere colpe in regia, alla programmazione, se gli Assoluti di atletica a Rieti sono stati portati via spesso dal vento delle parole inutili, ma anche dalla qualificazione delle tuffatrici.
Non è colpa di nessuno se adesso tutti ammettono che alla federnuoto fanno le cose bene, rispettando gli allenatori, i programmi, sapendo come si recluta e come si dividono i pani e i pesci della gloria. Andateglielo a dire a quelli dell’atletica adesso che sembra scoppiata una guerra interna che va oltre il cartellino giallo per un Tamberi che se la prende con Fassinotti quando sa benissimo, come Jacobs, che se vai spesso in viaggio, se partecipi a tutto, può essere che il tuo organismo da campione olimpico ti mandi anche al diavolo.
Capiamo il desiderio di capitalizzare non soltanto gli affetti, programmare matrimoni, fare contenti tutti, dalla fiera del libro alla televisione dei superlativi, ma se fai così rischi e poi resti soltanto nella pubblicità come capita quest’anno al Tortu che nei 100 non va tanto forte e nei 200 resta amletico parlando ai chiodi e alle curve. Nella baraonda dei diritti d’immagine sembra che la Nazionale per i Mondiali di metà luglio sarà abbastanza consistente, anche se nessuno è sicuro di rivedere sul podio i ragazzi d’oro di Tokyo. Lo diciamo influenzati dai soliti fuochi d’artificio dei Trials americani? Anche. Certo Jacobs ne avrà contro quattro di statunitensi da meno 10”, non sette, ma nel mondo ce ne sono tanti che sono andati dove il nostro santo Marcello non si è ancora fatto vedere. Magari lo farà a Stoccolma. Magari.
Non può essere colpa di nessuno se a Wimbledon il vincitore, la vincitrice prenderanno più di 2 milioni. Colpa di chi ha lasciato che i propri figli talentuosi andassero a cercare amici, gloria e passione sulle dure piste di atletica, nel cloro delle piscine, rinunciando al pallone dove puoi comunque andare in serie A e in nazionale dopo aver fatto il muratore. Un tormento che abbiamo già vissuto ai tempi della Formia splendida e splendente nel priorato di fratello Pietro e sorella Sara, nei giorni in cui si allenavano sotto quegli alberi anche i tennisti e “candidamente” facevano conoscere a quelli dell’atletica i loro guadagni che non erano quelli straordinari di oggi, ma già mandavano in corto chi prendeva una mancia, magari per un record costato un anno di fatica.
Diciamo che non è colpa di nessuno se il calcio fuori dal Mondiale si prende comunque almeno 20 pagine al giorno sulle testate che una volta erano pure sportive. Dalla loro parte i numeri: anche per artisti contro scapoli o ammogliati fanno il pieno. La televisione sbava per loro, pubblica o privata non conta. Sì, certo, qualche ingenuo si domanda perché quella statale, per cui si paga un canone, deve stordirti con tanta pubblicità, roba da famiglie felici, da stipendi alti, da mulino sempre più bianco, anche subito dopo il servizio straziante sull’infanticidio, il femminicidio, le stragi delle guerre schifose. Forse è colpa di qualcuno se alla competenza si preferisce l’amicizia, se al brutto carattere di gente che ne saprebbe molto si fa posto al desiderio di vendetta penalizzando ascoltatori che vorrebbero capire ed imparare, non addormentarsi.
Banalità che nascono al Rinco Sur dove il parco dei reumatici trombotici con edema incorporato hanno sempre qualcosa da dire. Figurarsi se non se la prendevano con Petrucci per la cacciata neroniana del Sacchetti che in carriera ha conosciuto gloria e tormento, pagando il ruvido che è naturale in uno nato non proprio nella bambagia e cresciuto non proprio nelle scuole tipo il Massimo romano o in quelle dove sono cresciuti i presidentoni che lo hanno messo alla porta. In alcuni casi appena è nato come allenatore, in altri anche dopo vittorie non certo da favorito come quelle di Sassari, la coppa Italia a Cremona, le promozioni sofferte, il miracolo della qualificazione olimpica.
Tutto vero, ma adesso non possiamo prendercela con Pozzecco che è amato dal basket, con o senza lavagnette e conoscenze oltre la cinta daziaria dove se non ti americanizzi finisci come lo Zagaria maratoneta che lucidava il Palalido della Milano dorata. Lui il Poz tutto gas e coraggio comincia a darsi ragione dal mattino quando spiega allo specchio che nella sua vita sportiva ha trovato soltanto gente che non vedeva un suo futuro glorioso: da giocatore, quando Cappellari lo regalò con felice intuizione a Varese portandolo via dal giardino dei silenzi; da allenatore quando si strappava troppe camicie, quando anche nella bella Sassari non riuscivano a capire tutti i suoi baci ed abbracci.
Ora la Nazionale è sua e tiferemo come sempre per Azzurra, qualunque sia il verdetto del campo. Per accontentarlo gli hanno concesso anche il senior assistant Recalcati, quello che gli ha dato gloria, scudetto e argento olimpico. Lui, quasi sempre da titolone, un piacere ascoltarlo (Meo brontolava, lui canta), un piacere vederlo al lavoro. Gli auguriamo fortuna adesso che prepara la sfida quasi inutile del 4 luglio in Olanda con una nazionale mista, confermando 7 dei giocatori che lo hanno visto piangere all’inno nella sua Trieste prima di vederlo fiero guerriero in difesa di una giovane squadra messa insieme in pochi giorni per la sfida impossibile con la Slovenia del geniaccio Doncic rimasto impassibile anche quando il bolognese di Varese Woldetensae gli ha rubato il pallone ed è andato a schiacciare. Loro erano già squadra in fibrillazione per gli spareggi con la Croazia che potrebbero lasciare fuori per la seconda volta i campioni d’Europa da un mondiale.
Ora a Brescia il Poz ha voluto i finalisti dello scudetto che gli hanno detto obbedisco, un bel pieno di registi o simili, mentre lui non era così risentito come il Petrucci prima del preolimpico da “missione impossibile” diventato poi miracolo, come il Sacchetti che davanti al niet di Datome, Belinelli, prima ancora di Hackett, aveva deciso che si sarebbe arrangiato seguendo il coro: non succede, ma se succede. Lui avrebbe voluto tenersi quelli di Belgrado e Tokyo, ma lassù dove si puote, mentre Malagò tranquillizzava il suo predecessore al Coni, costretto a mettersi sull’attenti davanti al plurimedagliato Barelli, avevano già deciso. Via Romeo e avanti il Poz degli angeli con la faccia più o meno sporca che riempiono pagine e blog, senza nessun dubbio (“Sono convito di aver preso la decisione giusta” ripete da settimane o presidente azzoppato). Ci mancherebbe.
L’Europeo a Milano ci dirà la verità adesso che Datome ha accettato di giocare per il grande amico che della Nazionale farà una bella e simpatica famiglia, cominciando dallo staff tecnico perché oltre a Micione Charlie ci sarà per ora, come scout, non proprio boy, il Peppe Poeta che intanto è salito sulla portaerei tricolore di Messina insieme al Dan Shamir che fu assistente di Ettorre negli anni gloriosi oltre le cortine dell’invidia. Il Poz che per l’Olanda ha chiamato i suoi ragazzi Olimpia, da Baldasso ad Alviti, oltre a Biligha e Datome, dovrà anche ridare una spinta al Tonut che passando dai 7 anni veneziani all’eurolega di Armani ora dovrà digerire mondi e sistemi diversi da quelli di una Reyer che sta purificando l’arsenale.
Ora nel concerto a casa di padre Pio non si è parlato dei possibili miracoli del Poz. Noi, invece, li aspettiamo e non soltanto perché Ramondino nella under 23 ha portato sette giocatori sopra i 2 metri, ma perché al Mondiale avremo anche Banchero che ha promesso fedeltà alla maglia azzurra, nel ricordo di nonni e bisnonni, in cornice sopra la macelleria paterna, convinto di poter fare una coppia meravigliao con il Gallinari che non intende ancora tornare da queste parti convinto di avere ancora richieste nella NBA. Sogni per tutti e il Poz sa come realizzarli senza neppure avere la tentazione di ritingersi i capelli come nell’anno della stella varesina.
Comunque se dovesse andar proprio male si potrà sempre dare la colpa a chi ha chiesto inchieste per schiaffetti terapeutici, mai per vivai che soffocavano senza mezzi e senza aiuto dai soloni di via Vitorchiano che alla base guardano sempre con fastidio, come negli apericena sulle terrazze dove il mantra del momento è: la guerra fratricida non è stata colpa nostra. Caino ha iniziato per primo. Festeggiando con il cestista mancato Paltrinieri che sa come combattere il senso di colpa, benedicendo Schio per Ceccon e la ritrovata trentenne Vallortigara, fusse che fusse la volta buona a Eugene, applaudendo le medaglie mondiali di tutta la famiglia del nuoto, artisti in ogni senso, vi ridiamo appuntamento appena il Rinco Sur ci lascerà liberi.
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