L’ombra di Cipollini

15 Ottobre 2013 di Igor Vazzaz

La gratitudine non è di questo mondo. A dire il vero, neppure il buonsenso e, se la promozione del prodotto locale, della tradizione, della tipicità (irritantissimo meme contemporaneo) è moneta inflazionata a ogni livello, il passaggio dalla proposizione velleitaria alla realtà dei fatti presenta, se va bene, percorsi tortuosi. Lucca, 2013: il Grande Circo (si dice sempre così) del ciclismo su strada sbarca presso l’arborato cerchioper una toccata e fuga significativa, la partenza del mondiale, prova professionistica maschile. Non abbastanza da giustificare i prevedibili, quindi poco interessanti, lamenti di chi in città avrebbe volute iniziative a tema iridato sin da gennaio (senza dire come, con quali soldi e rivolte a chi), ma sufficiente ad assicurar quel minimo garantito di paesanità (ah, il nazionalpopolare gramsciano…) in forma di pseudo vip, giornalisti professionisti dell’amarcord, cantanti oltre il tramonto in carriera, nani e ballerine. A colpire, in realtà, è altra cosa: nell’edizione d’un mondiale consacrato a una delle terre più vocate alla pedivella, avendole regalati campioni in ogni tempo e, soprattutto, una scuola tecnico-stilistica di cui hanno beneficiato atleti indigeni e non solo (per intenderci: senza la formazione a Pistoia, con il G.S. Bottegone, Francesco Moser avrebbe forse avuto una carriera come quella dei fratelli), gli “omaggi” alle glorie di questo sport sono svariati e condivisibili, dal saluto e il ricordo per Franco Ballerini all’omaggio ad Alfredo Martini, sino all’attuale ct italiano, Paolo Bettini, due volte maglia arcobaleno negli ultimi anni (2006 e 2007).

Grande assente, a lasciare un vuoto ingombrante nell’ideale pantheon locale, lui, il Re LeoneMario Cipollini da Lucca, iridato a Zolder nel 2002, anno d’oro d’una carriera da urlo, quella di uno tra i velocisti più forti di sempre e, di certo, tra i più “notevoli”. Eppure, proprio la sua Lucca non l’ha invitato a far da mossiere per la partenza, neppure l’ha calcolato nelle iniziative a corredo della kermesse. Per paradosso, è proprio un tale silenzio a risuonar fragoroso, giacché autorizza e invita a pensare che chi ha tirato le fila dei vari eventi (amministratori locali, vertici del ciclismo nazionale e così via) si sia calibrato sulle notizie dello scorso febbraio circa il coinvolgimento di SuperMario nell’ormai celebre Operaciòn Puerto.

Intendiamoci: quelle pubblicate in prima pagina dalla rosea sul proprio opinionista ciclistico di punta sono più che insinuazioni, bensì carte e riscontri affini, per provenienza, a quelle che costarono due anni a Basso e Valverde, per fare due nomi celebri. E, a onor del vero, dubitiamo che qualcuno si sia veramente sorpreso: non tanto per gli exploit di un corridore comunque fortissimo che supera i propri limiti a 35 anni suonati o per altre stranezze di una stagione stupefacente (il ritiro annunciato a sorpresa in estate, prima di ripensarci e correre alla grande Vuelta Mondiale), ma per la “consapevolezza storica” che quelli furono gli anni di Epolandia, del sistematico e organizzato ricorso all’aiuto chimico, certo non ignorato dai vertici massimi del sistema. Appare, quindi, logico come un establishment impegnato in un continuo e laborioso repulisti, per forza di cose forse più che per sincera convinzione etica, non desideri avere in qualità di testimonial chi sia al centro di credibili accuse di doping. Tanto più che la figura di Cipollini avrebbe gettato direttamente una lunga ombra su svariati simboli del Mondiale appena trascorso, ché quella di Zolder fu la prima vittoria di Ballerini da ct (con unanime plauso per la conduzione della Squadra, finalmente fedele e unita intorno a SuperMario).

E tale ombra rischierebbe di estendersi come un contagio, se si pensa che il 2002 fu l’anno monstre dei toscani, a braccia levate in quattro classiche monumento su cinque: Cipollini alla Sanremo,Tafi al Fiandre, Bettini alla LiegiBartoli al Lombardia. Peraltro, anche per Tafi e Bartoli (altri testimonial a uso locale di Firenze 2013) incombono sospetti: il primo compare nella lista dei positivi al Tour 1998 diffusa quest’anno, il secondo è citato tra i pazienti del dottor Fuentes. D’obbligo precisare come per Bettini vi siano solo le insinuazioni sollevate alla vigilia di Stoccarda 2007, mondiale poi vinto dal cecinese nonostante una stagione opaca, e celebrato, per l’appunto, come reazione alle accuse ricevute.

Difficile, però, ignorare come nella galleria mondiale, a far mostra di sé accanto a politicanti locali in cerca di visibilità sportiva o, addirittura, fasciati da maglietta iridata con evidente sprezzo del ridicule, fossero presenti il massimo esponente del (legalissimo) doping scientifico con benestare statale (il Moser dei record) oltre a due campioni, Ballan e Saronni, rinviati a giudizio nell’inchiesta sul doping di squadra alla Lampre. Ferma restando la presunzione d’innocenza fino a sentenza definitiva (pure oltre, a seconda delle convenienze, per una chiassosa minoranza d’italioti), pare legittimo chiedersi: perché Cipollini no? E ha ragione, in questo, persino Ivano Fanini, importante e storica figura del ciclismo locale e non solo, spesso al centro di roventi polemiche e promotore di iniziative discutibili, rispetto al quale abbiamo sempre avuto personalissime riserve.

Sul tema doping ci siamo già espressi, e non riteniamo di aggiungere altro, se non ricordare come la questione, posto che il ciclismo è davvero il primo e l’unico sport ad aver ingaggiata un’autentica lotta contro pratiche di sofisticazione delle prestazioni, sia dominata dall’ipocrisia degli addetti ai lavori, primi fra tutti quei giornalisti un giorno cantori, il successivo indignati, il terzo conniventi. E se più ridicole che ipocrite appaiono le giustificazioni dei corridori beccati, del tutto insopportabili (e sospette: excusatio non petita) suonano le dichiarazioni preventive sulla propria pulizia: pensiamo a Rebellin, unico italiano a dover restituire una medaglia olimpica per doping, che sermonava sul proprio candore pur avendo evitata una condanna grazie a un vizio di forma. Cipollini non ha certo fatto di peggio, benché, adesso, un’iniziativa come quella di regalare una bici allo squalificatissimo Riccardo Riccò (nella storia del doping, uno a metà strada tra William Burroughs e Ugo Fantozzi) predicandogli la rinuncia a ogni velleità da corridore, appare sotto una luce di tutt’altra natura.

Non abbiamo né titolo né possibilità per indicare una soluzione al gluommero di contraddizioni e ipocrisie intorno alle due ruote: ci pare, d’altronde, urgente trovare un modo per storicizzare, e in tal senso paiono orientarsi alcune dichiarazioni del neoeletto presidente UCI Brian Cookson purché finalmente si dica (e si accetti) la verità, per ogni storia di doping. Se per Cipollini la verità avrà un prezzo, questo dovrà essere pagato (e non solo da lui), augurandogli null’altro che la giusta misura, ma anche il sollievo di uscire da un cerchio di segreti e bugie. A noi nessuno toglierà il piacere d’averlo visto pedalare e vincere ai tempi d’oro, come pedala tuttora per le strade lucchesi, talvolta ciarliero, scortato non dal treno della Saeco, ma da gruppetti di ammiratori, altre volte in solitaria, malinconico contrappunto alla sua innata guasconeria, a tratti pure discutibile, ma per niente artefatta o costruita. Così riteniamo che, in fin dei conti e al netto d’ingratitudini e ipocrisie, egli abbia il diritto di conservare, per le strade di Lucca e non solo, il raro privilegio d’esser chiamato da tutti, con generale affetto e naturale confidenza, Mario, senza bisogno del cognome. E tanto basti.

Igor Vazzaz e Andrea Macchi, da Lucca (per gentile concessione degli autori, fonte: Re Loco Sport)

Share this article