Lo strano entusiasmo per Jason Collins

30 Aprile 2013 di Stefano Olivari

Jason Collins ha fatto uscire allo scoperto non i gay nel mondo dello sport, che nel 99,9% dei casi (il 100% per chi non è a fine carriera) continueranno giustamente a non sbandierare i propri gusti, ma il progressista immaginario che alberga nell’animo dei suoi colleghi e un po’ in tutti noi. Ma certo, tutti liberi di vivere liberamente la propria sessualità (ma se alla combo guard Piripicchio piacesse farlo con i criceti e allo stretch four Giuseppino con i bambini di sei anni? L’etica non è un un monolite uguale nei secoli. Se no dovremmo dichiarare guerra a tutti i paesi in cui si pratica l’infibulazione, che causa ogni anno più vittime del terrorismo), come mai non ci avevamo pensato prima? Cosa credete che si dica nel trash talking in campo che della NBA e dello sport agonistico è parte integrante e vergognosa? “Secondo me spezzi troppo il movimento nell’esecuzione del tiro libero”, “Conduci male la transizione secondaria”, “Sei sempre in ritardo negli aiuti”. Si dice questo? Perché le parole a bordocampo sono sempre mandate in differita, tipo le partite della nazionale polacca di trent’anni fa quando si dovevano tagliare le bandiere di Solidarnosc? E sorvoliamo sui testi dei rapper tanto amati dal sistema e dagli stessi giocatori, che hanno quasi linciato l’ingenuo australiano Andrew Bogut quando ha in sostanza detto che secondo lui era musica schifosa. Il relativo coraggio di Collins è stato poca cosa rispetto all’enorme ipocrisia dei colleghi: il festival del tweet progressista-mainstream scritto dall’addetto stampa, con il lessico da firmatario occidentale di appelli, con significative assenze mediatiche di omosessuali quasi dichiarati. Perché ‘relativo’ coraggio? Perché a fine carriera Collins, che il meglio l’ha dato nei Nets delle due finali consecutive di Jason Kidd (una persa con i Lakers e l’altra con gli Spurs), rischia ormai poco ed anzi chi lo ingaggerà adesso dopo la sua trascurabile parentesi agli Wizards farà anche un grande colpo di immagine. Per dirla in due parole, bravo Collins. Nessuna delle otto ‘zie’ (definizione dell’amico Paolo Colombo, conoscitore della materia e autore anche di una eccellente trasmissione per LaSette sul tema) fra campo e panchina del derby milanese di un anno fa avrebbe avuto lo stesso coraggio.

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