Lo sgradevole The Bridge

31 Ottobre 2013 di Stefano Olivari

The Bridge è una delle serie televisive più strane fra quelle che abbiamo visto. Non per la trama a volte sconclusionata, per la tensione che trasmette ogni inquadratura o per l’overdose di misteri non del tutto svelati, ma perché rinuncia al meccanismo dell’identificazione dello spettatore. Intendiamoci: ci sono anche qui i buoni e i cattivi di ogni storia che si rispetti (Fox ha appena finito di mandare in onda le 13 puntate della prima serie, già in preparazione la seconda), ma nessuno è ‘gradevole’ né tantomeno affascinante. Dal poliziotto messicano fedifrago e tutto d’un pezzo ma non troppo (infatti chiederà un favore al boss), Marco Ruiz, alla poliziotta americana con sindrome di Asperger (Sonya Cross, interpretata da una brillante Diane Kruger che per noi beceri sarà sempre Elena in Troy) passando per giornalisti tossicomani, ereditiere (una clamorosa Annabeth Gish, vera icona del cougarismo) con ambizioni da trafficanti, omicidi motivati e violenze insensate, in un quadro globale in cui anche i protagonisti sembrano marginali. Non ci si affeziona, insomma, ma nemmeno ci si stacca dalle storie. Che è in realtà sono una storia unica, avvenuta al confine fra la texana El Paso e la messicana (del Chihuahua) Ciudad Juarez, che avanza a scarti lungo le varie puntate continuando ad aprire parentesi che spesso non sono esplicative di alcunché. Al punto che gli ingredienti sembrano spesso buttati lì alla rinfusa: immigrazione più o meno clandestina, traffico di droga, violenze familiari, amicizie tradite, rapimenti di ragazze, corruzione a qualsiasi livello. Ogni personaggio rappresenta un mondo a parte, che accompagna altri mondi per un tratto di strada e poi se ne stacca: spaventoso e angosciante per le domande che suscita. Poi mandato su RaiUno farebbe forse un decimo dello share di una replica di Montalbano o di Un caso di coscienza 5. Sarebbe però interessante provarci.

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