L’intelligenza di Schwazer

20 Giugno 2013 di Carlo Vittori

Alex Schwazer non poteva pensare che il suo giurare ‘E’ stata tutta colpa mia, ho fatto tutto da solo’ fosse credibile, qualunque persona sensata aveva ben chiaro fin da subito che l’unico atleta italiano con speranze di medaglia d’oro ai Giochi di Londra non poteva essere per settimane sparito dai controlli del suo allenatore, dei medici e dei dirigenti dell’atletica italiana senza destare nemmeno un sospetto. E adesso che le indagini della magistratura ordinaria (non certo quella sportiva, anche se gestione della Fidal sarebbe ufficialmente cambiata) hanno gettato una luce diversa non solo sulla preparazione per Londra, ma anche su tutta la carriera del marciatore italiano, si possono fare alcune considerazioni.

1) Schwazer e chi lo ha consigliato pensavano di essere molto intelligenti nel restringere a una persona sola, cioé Schwazer stesso, il campo dei colpevoli. Una squalifica che lascia le porte aperte per Rio 2016 non è una vera squalifica, essendo i Giochi il massimo per un atleta e l’unica vera occasione di visibilità per un marciatore. Di sicuro a Schwazer è crollato il mondo addosso, le sue lacrime possono essere state sincere ma in tutta la vicenda c’è stato da parte sua anche del calcolo. Non ha dimostrato intelligenza, in ogni senso: né quando si è dopato, togliendo significato alla sua fatica, né quando ha cercato di limitare i danni. Ma è in buona, anzi cattiva, compagnia.

2) Chi era preposto al controllo di Schwazer dopo l’indagine della magistratura esce in una luce diversa. Altro che Schwazer traditore della fiducia riposta in lui, come tutti, a partire dal suo allenatore Didoni, avevano detto a caldo. Incredibile lo scarico di responsabilità dei medici, che hanno pensato di cavarsela con una mail al Coni (all’epoca dei fatti presieduto da Petrucci, adesso da Malagò) che a sua volta ha scaricato la Fidal che a cascata (anche lei con presidente nel frattempo cambiato, da Arese a Giomi) ha asserito di ritenersi parte lesa.

3) Il mondo della marcia (e non solo quello della marcia) è pieno di dopati che hanno scontato squalifiche. Se questi atleti fossero esclusi per sempre dalle nazionali, senza bisogno di squalifiche ma solo per ragioni etiche, il rischio ‘finanziario’ del doping sarebbe molto più alto. Cosa sarebbe un marciatore senza poter partecipare a quei pochi grandi appuntamenti? La storia del figliol prodigo viene usata troppo spesso.

4) Il caso Schwazer rischia di travolgere non solo la federatletica, ma buona parte delle istituzioni sportive italiane. La segnalazione da parte della Iaaf di anomalie nei parametri fisici di Schwazer in rapporto al suo passaporto biologico ed il fatto stesso che la positività sia stata scoperta da un test a sorpresa della Wada, delinea una situazione chiara. Una situazione in cui l’immagine degli italiani risulta quella di insabbiatori e quella delle istituzioni internazionali come quella delle forze del bene: non è proprio la realtà, visto che esistono paesi di primo piano pieni di incontrollabili impuniti, ma nel caso Schwazer le cose stanno più o meno così.

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