L’Ikea di Corsico

19 Maggio 2020 di Stefano Olivari

L’Ikea di Corsico è andata su qualche prima pagina per la folle coda di ieri, primo giorno dopo due mesi e mezzi di chiusura obbligata, come se tutta la periferia Ovest di Milano e i paesi limitrofi avessero sentito in questo ultimo periodo nostalgia soprattutto della cassettiera Kullen, dello sgabello Kyrre e delle patatine Festligt (una volta per sbaglio le abbiamo prese aromatizzate all’alce).

In realtà i visitatori non sono stati molti di più rispetto a quelli di un giorno medio di ‘prima’, è solo che le norme su distanziamento e ingressi scaglionati hanno costretto la maggior parte di loro a una coda indegna. Bypassando il gramellinismo del genere ‘Signora mia che tempi’, come se tutti passassimo il pomeriggio a tradurre i Quaderni Neri di Heidegger, ci piace parlare di un mondo che conosciamo anche se non siamo grandi fan dell’Ikea, se non per i complementi d’arredo, e per i mobili veri continuiamo a preferire il mobiliere brianzolo. Che esiste ancora e di recente lo abbiamo anche omaggiato, esaltandoci per l’attività passata da padre in figlio.

Ecco, cosa spinge tante persone ad andare all’Ikea? Cioè a farsi spesso una discreta coda in auto sulla Vigevanese e subire un percorso interno che stancherebbe anche Schwazer pur dovendo comprare soltanto una brugola? Prima di tutto la casa, nel senso che la spesa per la casa viene sempre ritenuta nobile e dopo due mesi di reclusione in tanti si sono resi conto dell’orrore in cui vivono. In fondo basta un portaombrelli da pochi euro o un bidone della spazzatura colorato a rendere la quotidianità meno triste.

Il secondo elemento che ha fatto la fortuna dell’Ikea è che come brand sia diventata sinonimo di risparmio anche se chiunque abbia girato un minimo sa che si possono trovare cucine, salotti e camere da letto anche a molto meno: certo molti di noi non riescono ad andare a dormire senza il comodino di Rimadesio e non riescono a sedersi su un divano che non sia di Minotti, ma stiamo facendo un discorso generale. Il terzo fattore che ha reso accettabile la coda per quei 3.000 è che a volte qualsiasi meta sembra interessante se l’alternativa è rimanere in casa con un marito che guarda la Bundesliga, una moglie che si lamenta, un figlio che nel giorno giusto potrebbe diventare Pietro Maso.

Share this article
TAGS