L’opinione privata di Donald Sterling

30 Aprile 2014 di Stefano Olivari

Un vero commento all’incredibile vicenda Sterling potrà essere fatto solo quando si capirà in quali mani la NBA intende portare i Los Angeles Clippers, che fra l’altro ieri si sono portati sul 3-2 nella serie contro i Golden State Warriors. Da David Geffen a Magic Johnson, si sono lette e ascoltate autocandidature di buona parte di ricchi con interessi in California, ma è chiaro che tutto come al solito dipenderà dal gradimento degli altri proprietari e del commissioner della Lega Adam Silver, che ha gestito con pugno di ferro la prima grana del dopo-Stern. Un discorso razzista fatto in privato e registrato illegalmente (anche se forse non all’insaputa di Sterling, il punto è ancora controverso) può portare a una multa da parte di un’associazione privata (quale la NBA è) e addirittura all’esproprio di una squadra, situazione che si sta configurando? Perché non è che le sue opinioni sui neri allo Staples Center Sterling le abbia espresse in luoghi pubblici o negli ambigui ‘fuori onda’ che quasi mai sono inconsapevoli, ma a voce alla sua ex fidanzata (evidentemente già sulla via dell’esonero, se si era organizzata per ricattarlo). Tutti abbiamo una ‘vera’ opinione su tutto, non solo su questioni razziali, che usando il cervello e l’ipocrisia poi non divulghiamo nemmeno presso gli amici. Il punto è se questa nostra ‘vera’ opinione rappresenti di per sé un crimine, meritevole di essere perseguito non solo da un governo democraticamente eletto ma da un’associazione di miliardari preoccupati solo di non perdere sponsor e pubblico. Va detto che i Clippers fanno parte della NBA e sono sottoposti anche alle sue leggi, ma anche che Sterling non sarà costretto a regalarli. Di fatto però la squalifica a vita annunciata da Silver lo costringerà nel breve periodo a svenderli. Non ci rimetterà di certo, perché fa parte di quella generazione di proprietari, tipo il defunto Jerry Buss (fra l’altro fu proprio lui a portare Sterling nel basket), che ha rilevato le franchigie nel momento peggiore della storia della NBA, cioè a fine anni Settanta-inizio Ottanta, a un prezzo che è un cinquantesimo del loro valore attuale: i Clippers, allora a San Diego, furono pagati 12 milioni e mezzo di dollari. Insomma, Sterling non finirà in mezzo a una strada. Ma è significativo il clima da caccia alle streghe, che ha indotto molti proprietari che la pensano come lui (non certo sulle razze, ma sul dirigismo della lega sì) a non esporsi e a twittare penosamente l’appoggio a queste sanzioni. Un buon esempio di quatta categoria è Mark Cuban, passato dal ”Questo precedente è pericoloso, perché con un pretesto chiunque di noi potrebbe essere costretto a svendere” al tweet ‘I agree 100% with Commissioner Silvers findings and the actions taken against Donald Sterling’. Se il caso specifico promette sorprese, la situazione di fondo invece non cambierà: l’80% dei giocatori NBA è nero, basta guardare i roster, mentre  l’86% del pubblico è bianco (fonte: ricerca pubblicata da Sports Business Daily sui maggiori sport americani), in maniera più che proporzionale al 72% della popolazione statunitense che ha questo colore di pelle. Il ‘non voglio neri alle mie partite’ di Sterling suona quanto meno improbabile, quindi si può ancora aspettare prima di creare il mostro. Per citare Rino Tommasi: ‘Gli Stati Uniti hanno risolto il problema del razzismo, ma non al punto di diventare daltonici’.

Share this article