Lezioni di vita per il ciclista

5 Agosto 2011 di Simone Basso

di Simone Basso
L’addio a Carly Hibberd, Chi al cloro, i ricordi di Childress, l’opposizione all’Ikea, il sangue di Myllyla e un libro da scrivere. 

1. Quasi un mese fa, il 6 luglio, moriva Carly Hibberd. L’australiana si stava allenando nel comasco con il professionista Diego Tamayo quando, sulla strada tra Lurate Caccivio ed Oltrona di San Mamette, è stata travolta da un’auto che non le aveva dato la precedenza. Rituale e toccante, nei dì seguenti, il ricordo delle colleghe al Giro donne: a Grosotto Marianne Vos, dopo una picchiata incredibile dal Mortirolo, le ha dedicato la tappa vinta. Piccole storie di ciclismo e di sport intrecciate con la vita: l’aussie, ventiseienne, stava preparando gli ultimi esami universitari per diventare infermiera; a Ottobre si sarebbe sposata. Scriviamo di lei per testimoniare di una strage che quest’anno, nel nostro paese, pare infinita. La pedivella tricolore non rischia l’estinzione per il d****g e i riflessi pavloviani della cosiddetta opinione pubblica, bensì a causa del traffico automobilistico. Folle, caotico, indisciplinato.
Siamo indietro di almeno mezzo secolo rispetto al più scarso dei paesi del Nord Europa e la situazione, inquietante, ha partorito assurdità come la pubblicità progresso (?) durante l’ultima Zomegnana. Nella quale si educavano i ciclisti a evitare le automobili! Praticamente il mondo a rovescio, le vittime che devono badare ai potenziali carnefici…
2. Ai mondiali di nuoto, Shanghai, luccicano le stelle di due fuoriclasse del livello di Ryan Lochte e Sun Yang. Rassegna iridata caratterizzata dalla brillantezza delle competizioni di mezzofondo, suggellate proprio dal primato di Yang nei 1500: record storico, appartenuto al grande Grant Hackett (che lo realizzò nel 2001) e che era sopravvissuto all’era dei costumoni. La Fina, per vendere al meglio il prodotto, le sta provando tutte: rimane, degli sport di base, il più osceno dal punto di vista televisivo. La lotta magnifica tra l’atleta e l’acqua, lo scorrere fluido del corpo, si riesce solamente a intuire; ne esce fuori uno spettacolo a metà tra il criceto nella ruota e Giochi Senza Frontiere. In Italia invece, siccome siamo avanti, assistiamo alla defilippizzazione dell’evento: sarà la scarsa cultura dei media generalisti, l’ignoranza ingenua degli “attori” (che mostrano il peggio di sè) o l’inevitabile cifra stilistica della mostruosa Raiset, ma il format (televisionario e cartaceo) era insopportabile. Uno vorrebbe il nuoto, invece si ritrova “Chi” al cloro. Per cambiare argomento, ma mica tanto, ci congratuliamo con la Federazione Internazionale: dopo aver consentito la fuga dalla stalla a chiunque, riprenderà in considerazione l’idea del passaporto biologico. Aboliti definitivamente i normotipi alla Battistelli, che nuotavano con la tecnica e l’agilità, aspettiamo fiduciosi una positività (almeno una…) ai Mondiali: manca da Perth 1998. Pagliacci. A proposito di Leoncavallo; finalmente sciolto, dopo aver chiuso (?) i conti, il comitato organizzatore di Roma 2009. C’è però un problema: la Banca di Credito Cooperativo, che aveva erogato i mutui per la ristrutturazione delle piscine, non ha ancora visto un euro. Il prezzo delle Barelliadi quindi ricadrà, magicamente, sul Comune di Roma in quanto garante dellamanifestazione. Chissà perchè, ma già prima della baracconata sapevamo che sarebbe finita così…
3. Non vergheremo nulla sulla serrata di Sternville perchè non ci interessa produrre dietrologia accattona: i siti oltreoceano che disquisiscono sull’argomento, magari inventandosi di sana pianta le indiscrezioni, sono già troppi. Le dichiarazioni più stupide dei giocatori vertono sull’alternativa europea; il condimento è rappresentato dall’assoluta incapacità dei giornalisti yankee di comprendere (e rispettare) il modus operandi del Vecchio Continente. Vi esponiamo il parere illuminante di Josh Childress, lui che visse di calende greche (…) per una stagione: “I played for one of the biggest clubs in Europe. But there were still six- and seven- hour bus rides, we didn’t stay at the best hotels and we flew commercial nine out ten times. And not all coaches care about your body. It’s more military style.”
4. Il ruolo del bastian contrario ci affascina; quindi, per una volta, facciamo i complimenti a un politico italiano. E che sia l’ultima… Antonio Saitta, presidente della Provincia di Torino, è un cattolico intruppato da anni nel centro-sinistra; recentemente ha destato scalpore il suo niet a un nuovo insediamento Ikea a La Loggia. Incredibile ma vero, ha negato quello che da decenni viene considerato alla stregua di un diritto divino, cioè permettere che uno stabilimento industriale si sbrani un’area agricola. Consentire, dopo una bella genuflessione, una speculazione nel nome del cosiddetto progresso.
Il megastore, unica e ultima ideologia totalitaria. Naturalmente Saitta ha contro tutto e tutti: il sindaco della cittadina, in teoria dello stesso schieramento (“Adesso la gente è in vacanza, ma c’è molta delusione perchè si trattava di un investimento atteso e ora si sente tradita…”), l’opposizione, i sindacati (“E’ illogico chiedere alle aziende di insedirsi in Piemonte e poi ostacolarle con mille cavilli…”), persino la parrocchia. Sragionano manco fossero Hal 9000; deve essere successo qualcosa di irreparabile dalle parti della scissura di Rolando. Eppure in zona, negli ultimi anni, sono stati consumati quasi ottomila ettari di suolo e più del cinquanta percento era fertile. La multinazionale svedese fece lo stesso giochino, quella volta riuscito alla grande, a Collegno; il risultato furono la disattesa dei posti di lavoro promessi (pochi e interinali) e un ritorno economico immediato per l’azienda sulla rivalutazione dei terreni.
Andando oltre quel microcosmo, se percorriamo la Pianura Padana, soprattutto da Novara in poi, ci accorgiamo che si è sviluppata (…) una megalopoli lunga centinaia e centinaia di chilometri. Case, capannoni, centri commerciali, un serpentone di cemento che ha deturpato il concetto di paesaggio dei luoghi. Pare difficile ma è semplicissimo: prima si ricomincia con la realtà del mondo, i suoi ritmi e le sue esigenze, meno saremo (s) travolti dal crollo di quello parallelo, totalmente fittizio, che una cricca di delinquenti incravattati ci ha iniettato endovena.
5. Quando è successo abbiamo evitato commenti, ovvero coccodrilli usa e getta. Però spendere due parole su Mika Myllyla è doveroso. Il fondo in Finlandia è identità nazionale, il collante che congiunge comunità altrimenti sperdute in quelle lande desolate e bianchissime; Mylylla, per un lustro, fu più di Kirvesniemi il simbolo della passione finnica per gli sci stretti. Era il campione eremita, ascetico, che meditava attraverso la fatica dell’allenamento e della corsa. Poi, proprio ai Mondiali di Lathi nel 2001, un test della Wada demolì l’intera squadra nazionale: Mika passò, in un quarto d’ora netto, dal ruolo di eroe della patria a quello di traditore. L’Hes, che espande (va) il plasma sanguigno, era indispensabile anche per un campione che si era fatto costruire, a casa sua, una camera ipobarica. Da quel momento non solo la carriera sportiva, ma anche l’esistenza di tutti i giorni divenne impossibile: alcolismo, depressione, vicende famigliari turbolente e infine, nell’oblio, la morte. Un decesso misterioso, che odora di omicidio, l’epilogo amarissimo della vicenda di un grande dello sci nordico: che incrociò, suo malgrado, l’evo esagerato di Epolandia.
6. “Sono sceso in libreria, mi sono seduto dietro il banco. Non c’era nessuno. Era ancora estate, le vacanze scolastiche, nessuno aveva bisogno di libri o di qualsiasi altra cosa. Seduto lì, guardando i libri sugli scaffali, mi sono ricordato del mio libro, del libro di cui mia sorella aveva parlato, di quel libro che progettavo di scrivere da adolescente. Volevo diventare scrittore, scrivere libri, era il sogno della mia giovinezza, ne avevamo spesso parlato insieme, mia sorella e
io. Lei credeva in me, io anche credevo in me, ma sempre meno e, alla fine, quel sogno di scrivere libri l’avevo totalmente dimenticato. Ho solo cinquant’anni. Se smetto di fumare e di bere, o piuttosto di bere e di fumare, potrei ancora scrivere un libro. Dei libri no, ma un libro solo forse si. Sono convinto, Lucas, che ogni essere umano è nato per scrivere un libro, e per nient’altro. Un libro geniale o un libro mediocre, non importa, ma colui che non scriverà niente è un essere perduto, non ha fatto altro che passare sulla terra senza lasciare traccia.”
(da “Trilogia della città di K.” di Agota Kristof, 1991)

Simone Basso
(in esclusiva per Indiscreto)

 
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