Anni Ottanta

L’etica di coach Reeves

Stefano Olivari 17/01/2009

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I muri di Indiscreto riportano alla luce capolavori dimenticati da molti ma non da tutti, come il The White Shadow di cui abbiamo discusso qualche settimana fa. In Italia conosciuto come Time Out, era un telefilm di livello altissimo incentrato su basket e periferie: lo trasmetteva Italia Uno nel primo pomeriggio di metà anni Ottanta, ma in realtà le storie erano state girate tutte fra il 1978 ed il 1981: però all’epoca le informazioni arrivavano in maniera frammentaria, sembrava tutto nuovo. Prodotto da Bruce Paltrow (padre della da noi più nota Gwyneth), il telefilm ha come protagonista un ex giocatore della NBA, Ken Reeves, interpretato splendidamente da Ken Howard (curiosità per noi che amiamo il cinema d’autore: nell’ultimo episodio di Rambo Howard è nelle vesti di un prete). Reeves, ala dei Chicago Bulls a fine carriera, avrebbe tante opportunità (gli offrono di fare l’opinionista televisivo, in una puntata un’altra squadra NBA gli chiede di tornare in campo come cambio di esperienza) ma sceglie di allenare la squadra di una high school di un quartiere difficile di Los Angeles, la Carver. E da qui partono mille storie con lo sport come prestesto e protagonisti ragazzi senza speranze di professionismo sportivo (a parte il centro, Warren Coolidge) ma con problemi più concreti. Come dimenticare le battute di Thorpe (abbiamo scoperto solo oggi che lo doppiava Riccardo Rossi), i numeri di Hayward, l’italianità di ‘Salami’ Petrino (attore Timothy Van Patten, oggi grande regista tv: metà della serie dei Sopranos è stata diretta da lui), la timidezza di Goldstein? Su tutti la figura del coach: non il guru filosofeggiante di tanta cinematografia sportiva, ma una persona concreta e con un’etica più vissuta che teorizzata. La vera domanda è però come mai lo sport, così presente al cinema non solo degli anni Ottanta, non abbia mai avuto grande successo nelle fiction tivù: vale anche per gli Usa, tanto è vero che la CBS con The White Shadow non andò oltre la terza stagione. La fiction sportiva non piace né al pubblico dello sport né a quello tradizionale delle fiction: magari ha ragione il pubblico. Però quei cinquanta e passa episodi ci rimarranno nel cuore, non solo per l’effetto nostalgia: da quello del ragazzo che voleva lasciare l’Unione Sovietica a Coolidge tentato dagli Harlem Globetrotters, dalla finta morte del coach per raccogliere fondi alla finale statale.
Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it

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