L’età di Gianfranco Funari

27 Febbraio 2019 di Indiscreto

Gianfranco Funari è morto da più di dieci anni e lunedì sera lo speciale Lucci incontra Funari visto su Rai Due ci ha riportato ancora più indietro nel tempo. Non al 2008, quindi, ma alla prima metà degli anni Novanta, quando Funari ha cambiato il modo di parlare di politica in televisione e in definitiva la politica stessa: da quell’epoca, dalle interviste fatte fra una fetta di mortadella inghiottita a un centimetro dalla telecamera e un biscotto infilato in bocca a una ragazza del pubblico, anche l’intellettuale più spocchioso avrebbe fatto di tutto per farsi capire dalla mitica ‘gente’, che esisteva anche prima di Funari ma che da Funari è stata nobilitata, visto che lui faceva, o asseriva di fare, le domande nella testa del cittadino comune. Non è una forzatura dire che Salvini o Di Maio, che ai tempi di Mezzogiorno Italiano andavano rispettivamente al liceo e alle elementari, siano la prima generazione di politici formatisi in un mondo già funariano, con la gente da inseguire, blandire, esaltare e soprattutto i concetti da esprimere in modo chiaro. “Famme capì”, era il mantra di Funari.

Enrico Lucci, che Funari l’ha conosciuto e frequentatoha avuto il merito di intervistare ai giorni nostri, in mezzo ai tanti spezzoni d’epoca, proprio gli intervistati preferiti di Funari: su tutti Di Pietro (che gli ha riconosciuto l’importanza nel portare il sentimento del pubblico dalla parte di Mani Pulite), Sgarbi, Rutelli (che ne ha proposto un’imitazione strepitosa) e un Chicco Testa che l’ha ben raccontato, al di là dell’agiografia: “È stato il primo a mettere in comunicazione i politici con i loro elettori, facendo da tramite, era un bravissimo tramite. Poi quando ha iniziato a raccontarla lui, la politica, facendo l’analista, è stato meno efficace”. Fra le immagini delle varie trasmissioni non poteva mancare la parodia di Corrado Guzzanti, che ancora oggi rimane irresistibile.

Funari non è però stato soltanto il tribuno televisivo della stagione di Mani Pulite, cacciato dalla Fininvest su richiesta (sostenne lui, che poi vinse anche una causa contro le tivù di Berlusconi) di Craxi, ma ha avuto una vita piena di ribaltoni: venditore di acque minerali, croupier a Macao, cabarettista al Derby, presentatore televisivo e poi direttore di giornale, candidato sindaco di Milano, editore di sé stesso con Zona Franca e altri programmi. Abbiamo perso il conto dei suoi ritorni in Mediaset e in Rai, così come dei suoi antipatizzanti, ma il Funari migliore era stato quello di Mezzogiorno Italiano (1991-92 su Italia 1) per molte ragioni, fra cui la principale: essere al posto giusto nel momento giusto. Medaglia d’argento in un ipotetico podio funariano sicuramente A boccaperta, prima su Telemontecarlo e poi su Rai 2, una delle prime trasmissioni televisive, non a caso coeva del Processo del Lunedì, in cui la rissa è stata sdoganata. Lì non c’erano politici, ma persone comuni che si dividevano in due fazioni discutendo dei classici temi da bar. Nostra medaglia di bronzo a Mezzogiorno è…, nei tardi anni Ottanta su Rai 2, con l’intrattenimento mescolato alle prime interviste ai politici, sia pure con toni diversi rispetto a quelli degli anni seguenti. Decisamente triste il Funari degli ultimi anni, non per l’età e la malattia, ma perché troppo preso dall’idea di essere un guru, qualcosa di simile a un telepredicatore ma senza averne gli strumenti culturali né il cinismo. Certo è che molti talk show attuali sono suoi figli legittimi, pur tirandosela da approfondimenti e condotti da giornalisti che hanno studiato la lezione dell’indimenticabile ‘Giornalaio’. E anche nei programmi di approfondimento non urlati il linguaggio è ben lontano da quello delle ‘convergenze parallele’ di Moro.

In definitiva Funari poteva non piacere, e alla lunga il suo tipo di televisione annoiava, ma era un uomo imprevedibile e non irregimentabile in un gruppo, in una fazione, in una corrente, in una parrocchietta. Funari era Funari, individualista e outsider: voleva fare spettacolo, essendo un uomo di spettacolo, poi le circostanze lo hanno trasformato in un protagonista dell’arena politica e si è un po’ sopravvalutato. Di sicuro ha cambiato la storia della televisione più di tanti bravi presentatori o di grandi maestri dell’informazione. Per questo troviamo che sia stato troppo frettolosamente dimenticato, nonostante il delirio autocelebrativo dei media che ormai rielaborano e parlano soltanto del passato. I superprofessionisti scivolano via, i mestieranti di genio no.

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