L’erba di Dave Thomas

29 Marzo 2010 di Christian Giordano

di Christian Giordano
Se c’è un posto dove adorano le ali, quello è il Loftus Road. Lì impazziscono a vedere uno che s’invola sull’out, ne scarta un paio e la mette in mezzo a tutta velocità. E Dave Thomas ne è stato uno degli idoli più amati.

A corredo del mito, calzettoni alla cacaiola e totale idiosincrasia ai parastinchi. Per dirla alla Ken Loach, fra gli ultimi baluardi del socialmente utile, il suo modo di giocare era come il vento che accarezza l’erba. Nato a Kirkby-in-Ashfield, contea del Nottinghamshire, il 5 ottobre 1950, comincia nel Burnley nell’estate del 1966. A neanche sedici anni, gli pronosticano già un futuro nell’Inghilterra. E ancor prima di firmare, aveva già giocato al Turf Moor, con la nazionale giovanile. Aggregato alle riserve, all’ultima giornata, per l’infortunio di Ralph Coates, gli danno la maglia numero 11 e il 13 maggio 1967 debutta in casa contro l’Everton. A sedici anni e 220 giorni, è il più giovane esordiente in First Division nella storia del club e il secondo di sempre, 46 giorni più vecchio del leggendario Tommy Lawton che giocò la sua prima partita in Second Division negli anni Trenta.
La prova del fuoco non gli vale un posto fra i grandi l’anno seguente, chiuso alzando la FA Youth Cup da mezzala, con Steve Kindon ala sinistra. Ceduto Willie Morgan al Manchester United, Thomas diventa titolare in prima squadra nel 1968-69. Con lui, in quell’autunno arrivano anche Kindon e otto vittorie consecutive. A ottobre, dopo averlo ammirato nel 5-1 del Burnley sul suo Leeds United, Don Revie si lascia trascinare dall’entusiasmo: quel ragazzino è la migliore promessa del Regno Unito e forse d’Europa. Esagera, ma dopo la nazionale giovanile, Thomas conquista il primo cap nell’Under 23 quando mancano ancora sei mesi al suo ventesimo compleanno. Con il Burnley retrocesso dalla massima divisione nel 1971, Dave sembra aver perso lo smalto. Le voci che lo vogliono in contrasto col manager Jimmy Adamson trovano conferma nell’ottobre 1972, quando viene ceduto al Queens Park Rangers per 165.000 sterline, cifra-record per un club di Second Division.
In un sol colpo, al primo tentativo si vendica della sua ex squadra e ripaga la fiducia dei Londoners trascinandoli al secondo posto che vale l’ascesa in First Division nel 1973, proprio contro il Burnley. Il rendimento in biancoblù gli vale, il 30 ottobre 1974, la prima delle sue otto presenze (tutte da titolare) nell’Inghilterra dei grandi. Lo chiama, indovinate chi, Don Revie: quello degli elogi sperticati. E lui al primo pallone manda in gol Mick Channon nel 3-0 sulla Cecoslovacchia. Nello storico campionato 1975-76 salta solo una partita nei Rangers, secondi dietro il Liverpool per un punto. La sua miglior stagione coincide con la più bella del club. La squadra, imperniata sui suoi cross, sulle magie di Stan Bowles e sui gol di Gerry Francis, resta in testa per gran parte del torneo, ma cede all’ultima giornata.
Come ogni apice, è l’inizio della fine. Nel ’77 l’arrivo di Leighton James lo costringe a giocare da interno, dove non può rendere come all’ala. E così, dopo un altro anno a Londra e 29 gol in 182 gare coi ’Gers, torna a nord-ovest, sulla sponda blu di Liverpool, per portare l’Everton al terzo posto nella Division One 1977-78. Con lui a rifornirlo dalla fascia, Bob Latchford segna 30 gol. Nel 1979 è al Wolverhampton ma non funziona e così nell’estate ’81 attraversa l’Atlantico per giocare nella NASL con i Vancouver Whitecaps. Dopo la breve parentesi al Middlesbrough, vince col Portsmouth la Third Division. Prova anche ad allenare le giovanili, prima nello stesso club della south coast poi al Brentford, ma non fa per lui.
Lasciato il calcio dopo quasi 20 anni di carriera e 450 presenze in campionato, insegna educazione fisica alla Bishop Luffa School di Chichester, nel Sussex occidentale. Ora vive lì in pensione e come giardiniere cura prati all’inglese. Per il vento abituato ad accarezzarla, il finale più bello: il profumo dell’erba anche quando non puoi più volare.

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