L’equilibrio che ci manca

11 Gennaio 2010 di Libeccio

di Libeccio
L’Olimpico visto dall’albero,  l’Inter che non tutela Balotelli, lo scoop sulla Pittmann, la Dakar da disprezzare e l’auto amica dell’ambiente.

1. Quando eravamo ragazzi il calcio entrava nella nostra vita soltanto attraverso la radio (Tutto il calcio minuto per minuto) e il lunedì pomeriggio alle ore 17 quando la seconda rete Rai (non esisteva altro) mandava un tempo di una partita di serie A giocata la domenica. Se avevi fortuna (cioé un televisore) e molta fortuna (passavano la tua squadra del cuore) stampavi nella tua mente ogni singolo fotogramma. E la curiosità e le speranze che esplodevano a quegli squilli di tromba che precedevano un gol su un campo qualsiasi della A e della B che andavano in simultanea. Una volta partimmo di nascosto e con mezzi di fortuna dal paesino di montagna dove vivevamo, per andare a Roma presso lo stadio Olimpico: si giocava una partita normale, ma per noi valeva la finale dei Mondiali. Da un albero della montagnola che sovrasta lo stadio si vedeva una piccola porzione di campo. Indescrivibile come il primo amore. Vedere poco o niente come a quei tempi era una crudele tortura, vedere tutto come adesso uno sbaglio bulimico che non fa apprezzare nulla. E’ una cosa così rivoluzionaria desiderare l’equilibrio?
2.  Del Mario Balotelli calciatore ci importa il giusto (per dire, non discutiamo il modo in cui lo fa giocare Mourinho o la non convocazione di Lippi: sono o sarebbero grandi allenatori, ne capiranno più di noi o no?), dell’italiano discriminato molto.  In questo senso siamo sempre dalla sua parte. La multa che gli è stata comminata dal Giudice Sportivo per le dichiarazioni post gara col Chievo ha veramente dell’incredibile. Balotelli ha forse sbagliato i toni, ha confuso una città con la sua piccola pattuglia di razzisti e violenti, però forse aveva qualche pur legittima e comprensibile ragione. Ragioni che le istituzioni del calcio da mesi fanno finta di non capire e non vedere. Anche l’Inter ha delle responsabilità. Nel senso che sarebbe ora, qualora Balotelli venga di nuovo fatto oggetto di cori di scherno a sfondo razzista, comunicare all’arbitro l’intenzione di ritirare la squadra dalla gara in svolgimento. Sarebbe un segnale che la civiltà non è un optional sempre e a qualunque costo. Almeno tre punti in classifica li vale.
3. Larga parte dei meccanismi che sono alla base dei processi informativi hanno una forte connotazione propagandistica. E’ il caso della campionessa australiana Jana Pittmann (due volte campione del mondo sui 400 ostacoli) e delle sue oramai stranote mammelle. “Si riduce il seno per vincere i mondiali” è stata la notizia rilanciata urbi et orbi dal sistema dell’informazione globale. Tranne scoprire che la Pittmann il seno se lo era prima anche volontariamente ingrandito (“ho tradito il mio paese per vanità”, ha precisato la campionessa) per poi ripensarci in vista delle prossime importanti competizioni che la vedranno protagonista. Il circo mondiale dell’atletica si avvale di grandi agenzie di immagine e comunicazione che pianificano ogni cosa, soprattutto i budget pubblicitari. Lo stesso fanno i grandi cartelli mondiali dell’abbigliamento sportivo. Aumentare la vendibilità degli eventi in cartellone diventa per uno sport non ricchissimo una sorta di imperativo categorico. Per mesi abbiamo letto della campionessa sudafricana di cui non si sapeva se fosse uomo o donna (ancora adesso ci sono dubbi….). Però le sue immagini hanno “venduto” moltissimo e calamitato l’attenzione anche della stereotipata casalinga di Voghera. Già adesso a corredo della notizia sulla Pittmann molti giornali ritraevano la bella atleta con in bella vista il marchio riconoscente degli sponsor. Secondo un vecchio adagio quello che non fa male ingrassa. Elementare Watson.
4. Abbiamo sempre disprezzato competizioni come la Parigi-Dakar. Intollerabile, almeno per noi, che un esercito di multiple ruote e cavalli meccanici “occupi” per settimane luoghi dove il dolore e la sofferenza sono di casa stabilmente, con il loro carico di straripante e indecente opulenza. Problema etico, potrebbe obiettare qualcuno, e quindi problema individuale. Poi gli sherpa che arrivano in anticipo in quei posti per piazzare i campi base, hanno fatto sapere ai padroni del vapore che quel posto (a causa di bande di predoni che si muovono lungo le frontiere di Senegal, Mali, Guinea e Mauritania) era diventato molto molto pericoloso e che era sensato lasciar perdere considerati gli altissimi rischi. Allora la folle corsa è diventata solo Dakar (non si capisce a che titolo) ed è stata trasferita in Sudamerica dove sta in queste ore esprimendo il meglio di sé stessa. Un incolpevole spettatore ucciso il giorno di apertura e un italiano (il sassarese Luca Manca) che pochi giorni fa ha avuto un gravissimo incidente e versa in condizioni disperate in Cile (durante la tappa che attraversava il Deserto di Pietra, una delle zone più aspre e aride del pianeta). Money Money Money, diceva una famosa canzone di parecchi anni fa. Ci sarebbe da meditare, o almeno da abolire certi eventi per manifesta stupidità.
5. Se non fosse per il fatto che rischiamo di andare fuori tema, parleremmo più spesso di quanto possa essere idiota certa pubblicità. Anche geniale, aggiungiamo, ma più frequentemente idiota. Anche per il tema dei motori del punto precedente, annotiamo la pubblicità di una nota casa automobilistica che ha per testimonial un delfino o un elefantino al momento della nascita. Sono ovviamente bellissimi. Del tutto stonato e fantasioso è il messaggio che pone in relazione l’ambiente e l’ecologia estrema col fantastico motore a emissioni limitate del marchio di auto pubblicizzato. Abbiamo distrutto il mondo con questa roba e con consumi insensati, devastando ogni cosa. Ed ora ci poniamo il problema di salvare il pianeta (esclusivamente a colpi di slogan). Soltanto perché abbiamo personale paura di quello che potrebbe succedere, se la natura decidesse che è finita.
Libeccio
(in esclusiva per Indiscreto)

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