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Leone di Lernia e le facce da Novantesimo Minuto

Paolo Morati 01/03/2017

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Leone Di Lernia è morto e con lui se n’è andato anche uno dei volti della Milano più popolare, lui che era nato a Trani. Popolare almeno per chi ha passato i 40 anni e ha vissuto l’era delle prime TV locali, con le partite che si potevano seguire in diretta solo alla radio. Radio che se è vero che dai Novanta almeno è stata capace di dargli il vero successo nazionale attraverso la collaborazione con Fausto Terenzi e poi con lo Zoo di 105, gli aveva anche tolto quell’aura di nicchia e mistero che lo avvolgeva quando compariva dietro i giornalisti allo stadio di San Siro, si muoveva tra la platea del Festival di Sanremo, oppure più tardi intonava circondato da varie ballerine brani tratti da album come American Puglia.

Oggi per ricordare Leone Di Lernia si usa tanto il termine trash (e lui stesso non lo nascondeva, dichiarandosi inventore di un genere), proprio per quel suo parlare in dialetto stretto inserendovi un linguaggio denso come l’olio extravergine d’oliva che alimenta i taralli, declinato già in quelle parodie musicali che fin dagli anni Settanta aveva pensato di proporre. A suo modo geniale uno dei suoi primi esperimenti in tal senso, Gaccia ad’avè (cover di I gotcha di Joe Tex), contenuta in un album dal sottotitolo ‘Canzoni Rock Tranesi’ del 1975 e annunciato dal distributore come di “un personaggio nuovo e interessantissimo che presenta il nuovo genere di rock’n’ roll cantato in pugliese”.

Ospite intanto di Alto gradimento (insomma, sempre la radio nel suo destino), registrò nel tempo un certo riscontro, negli anni si narra diventato enorme nei canali alternativi: quelli delle musicassette e delle bancarelle, tanto che lui stesso raccontò dei problemi legati alla pirateria. Nel mentre a Milano, sua città d’adozione come per molti conterranei, capitava spesso di incontrarlo ai tavoli delle diverse oasi pugliesi presenti nella metropoli. E lo vedevi seduto tranquillo, Leone Di Lernia, a chiacchierare, mentre scrutava chi lo guardava senza particolari sussulti di celebrità, in modo tranquillo, con gli occhi di chi aveva faticato. Anzi, incuteva un certo rispetto per cui chi lo circondava aveva al massimo il coraggio di sussurrare un ‘grande Leone!’, che tra l’altro era proprio il suo vero nome (vero anche il cognome).

Adesso c’è da scommettere che comincerà la riscoperta della sua produzione (ma poi veramente trash?), delle prime canzoni e di quelle della popolarità, come Ra ra ri- la la la pesce fritto e baccalà e Ti si mangiate la banana, ennesime cover. Che tutto sommato, scavando bene nel fondo delle liriche, non erano proprio così scanzonate nei toni e soprattutto nei modi come potevano sembrare. Difficile comunque che Leone Di Lernia entri nel girone dei rivalutati fuori tempo massimo, anche se il tempo e la nostalgia fanno miracoli.

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