Le spine di di Rosengard

4 Dicembre 2007 di Alec Cordolcini

Il ghetto dentro. Disagio sociale, soglia minima di sopravvivenza, lusinga quotidiana ad imboccare il lato oscuro della strada. Storie di tentazioni e di calcistiche redenzioni, già sentite per molte stelle del calcio mondiale. Un viaggio alla ricerca delle radici di Zlatan Ibrahimovic non può esimerci dal raccontarle di nuovo; quartieri di periferia degradati, squadre composte da figli di immigrati, una piazza formata da suole di scarpe da calcio riciclate e un ispettore di polizia dall’ascendente particolare. In due parole, le origini di Ibra, quando Amsterdam era solo la capitale dell’Olanda e Juventus e Inter nient’altro che sogni da condividere con migliaia di altri ragazzini.

Rosengård non è propriamente uno dei quartieri più “in” di Malmö. Girare per le sue vie armati solo di un’approssimativa conoscenza della lingua inglese non porta molto lontano, salvo non si conoscano anche rudimenti di svedese o, meglio ancora, di turco, arabo, croato, serbo o bosniaco. E’ una zona ad alto tasso di immigrazione e bassa percentuale di occupazione, con circa il 30% dei 260mila abitanti attualmente privi di un lavoro. Il sistema di “protezione sociale” sviluppato dal governo svedese negli ultimi anni costituisce un buon paracadute per la popolazione locale, ma non sempre è sufficiente per garantire integrazione e standard di vita dignitosi. Tempi duri insomma, oggi come quarant’anni fa, quando il bosniaco Sefik Ibrahimovic e la moglie croata Djurka arrivarono in Svezia trovando alloggio in un piccolo e poco confortevole appartamento in un prefabbricato di Rosengård. Lui faceva l’operaio in un cantiere navale, lei la donna delle pulizie. Al loro figlio Zlatan, nato il 3 ottobre 1981 e il cui nome in bosniaco significa “dorato”, piaceva invece giocare a pallone, e se c’era una cosa di cui il suo luogo natio non difettava erano proprio le squadre il calcio, autentico fattore aggregante per i sei-settemila ragazzini appartenenti a oltre 35 differenti nazionalità che giravano per le strade del quartiere. Malmö BI, Flagg, FBK Balkan, il piccolo Zlatan le gira tutte prima di venire cooptato nelle giovanili del club professionistico del Malmö. Il talento comincia ad emergere prepotente nel Balkan, piccolo club nel quale il tempo sembra essersi fermato, dal momento che ancora oggi le sue squadre (quella degli “adulti” gioca nella Södra Götaland, la Terza Divisione del campionato svedese) assomigliano a selezioni in miniatura di uno stato, la Jugoslavia, che la Storia ha frammentato in tanti rivoli. “Aveva un approccio selvaggio alla partita”, ricorda il suo vecchio allenatore Hasib Klikic, “e con la palla tra i piedi tentava di fare di tutto, dribbling, finte, colpi ad effetto. In campo giocava come fosse da solo, non si fidava di compagni che percepiva nettamente inferiori a livello tecnico, ma non si poteva rimproverarlo troppo perché uno-due gol a partita li segnava sempre. In più possedeva una personalità molto forte e detestava perdere. Semplicemente non riusciva ad accettare la sconfitta, e in questo noi l’abbiamo aiutato poco; a quei tempi il Balkan vinceva quasi sempre”.

Tra gli immigrati di Malmö circola il detto, ripreso anche dalla stampa svedese, che, grazie al suo successo, Ibrahimovic “è riuscito a dare un’identità alla gente di Rosengård”. Non è un’esagerazione. Poco meno di un anno fa una piccola piazza nei pressi dei palazzi dove il nostro ha trascorso la sua infanzia è stata rinnovata grazie a un progetto, che prevedeva una pavimentazione fatta con materiale ricavato dal riciclo delle suole di migliaia di scarpe da calcio, presentato da un’azienda locale con l’aiuto del giocatore e di uno dei suoi sponsor, la Nike. All’inaugurazione, assieme a Ibra, c’erano oltre cinquemila persone. Eppure la storia di Zlatan Ibrahimovic sarebbe probabilmente stata molto diversa se all’età di quindici anni non avesse incontrato Johnny Gyllensjo, oggi ispettore presso il Dipartimento Anticrimine della polizia di Malmö, all’epoca allenatore delle giovanili degli Himmelsblått (Blu cielo). “Lascio la squadra”, gli disse un giorno Zlatan durante un allenamento. Il motivo aveva un nome e un cognome, Tony Flygare, amico, compagno di squadra nonché attaccante dalle medie realizzative altissime che oscuravano quelle del ragazzo di origini bosniache, tanto da soffiargli il posto nelle nazionali giovanili svedesi under-16 e under-17. Ci vogliono tutta la pazienza e l’esperienza di Gyllensjo per far desistere Ibra. “A quell’età ciò che conta agli occhi dei ragazzi è segnare, io gli feci capire che il calcio è molto di più. Gli dissi di lasciar perdere la quantità, perché lui era uno dei pochi che aveva il dono della qualità. Oggi Zlatan ha vinto quattro titoli nazionali consecutivi, Flygare gioca nelle serie minori”.

Ibrahimovic è stato aggregato alla prima squadra del Malmö da Roland Andersson nel 1999, ma la prima vera stagione da protagonista l’ha vissuta l’anno successivo quando, con 12 reti in 26 partite, è stato fondamentale per la vittoria del Superettan (la Serie B svedese) e del conseguente ritorno del club, dopo un solo anno di purgatorio, nella massima divisione nazionale. In Svezia la classe di Zlatan cresce di pari passo con la fama di ragazzo bizzoso e difficile, che però gli allenatori tollerano seguendo il proverbio locale secondo il quale “un ragazzo si tiene lontano il fuoco solo quando si è scottato”, ma soprattutto pensando al sempre crescente valore di mercato del giovane, destinato a rimpinguare entro breve tempo le casse del club. L’attesa termina nel luglio 2001 quando l’Ajax, su consiglio di Leo Beenhakker, lo acquista per 8 milioni di euro provocando in Olanda un mezzo cataclisma, con la stampa olandese che carica i fucili contro “la cifra esorbitante spesa dalla società per un lungagnone non ancora ventenne”. Don Leo, come spesso accade, era anni-luce davanti alla critica. Anche parte della stampa italiana peccò in seguito di scarsa lungimiranza. Un paio di settimane prima di trasferirsi alla Juventus Ibrahimovic segnò contro il Nac Breda una meravigliosa rete dopo essersi portato a spasso l’intera retroguardia avversaria. La marcatura venne poi votata miglior gol della Eredivisie 2004/05. Oltre due anni dopo sul sito di un famoso quotidiano sportivo comparve il video della giocata: “Guardate che gol ha segnato Ibra ai tempi dell’Ajax”. Bravi ma lenti.

Alec Cordolcini
wovenhand@libero.it

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