Le regole di Van Damme

17 Giugno 2013 di Stefano Olivari

Una tristissima cintura gialla di judo, di peggio c’è solo quella bianca, più sei mesi di botte (prese) nella palestra pugilistica Ursus del Giambellino non ci hanno trasformato in esperti di arti marziali o anche solo della boxe classica, però siamo grandi cultori dei film sul tema. Non è la stessa cosa, ma c’è chi nasce protagonista e chi spettatore. E come spettatori di recente, grazie a una persona che ci ha fatto conoscere le basi del Muay Thai, abbiamo guardato Kickboxer con altri occhi rispetto alle precendenti dieci visioni. Sì, è uno dei film (nostro preferito I nuovi eroi, primo della serie Universal Soldier) che hanno costruito il mito di Jean-Claude Van Damme, prima della deriva poliziesca e ad alto budget che ha un po’ inquinato la purezza di un personaggio che ha moltissimo in comune con Arnold Schwarzenegger. Il successo sportivo in Europa (Schwarzenegger culturista in Austria, prima di vincere varie edizioni di Mister Universo e Mister Olympia, Van Damme promessa del full contact e campione europeo con il Belgio), il sogno americano prima ancora che hollywoodiano, la fama mondiale e un finale di partita fra sequel e ambizioni politiche: l’austriaco (ex) governatore della California, Van Damme (vero cognome Van Varenberg, roba da Standard Liegi anni Settanta) chissà. Più no che sì,  visti i precedenti penali che potrebbero essere tirati fuori senza problemi dai suoi avversari. A favore di Van Damme, almeno ai nostri occhi, c’è però il fatto di essere vegetariano. Ma dicevamo di Kickboxer… in italiano Kickboxer – il nuovo guerriero. Trama in sintesi: Van Damme è l’assistente e uomo d’angolo di suo fratello Eric, campione del mondo di Full Contact che accetta la sfida del campione thailandese di Muay Thay, Tong-Po. Inutile dire che il thailandese, inevitabilmente cattivo e controllato dalla mafia locale, dà una ripassata ad Eric e poi lo rende paralizzato per la vita dandogli un colpo alla spina dorsale quando è ormai incapace di difendersi dopo il lancio dell’asciugamani. Kurt, nome del personaggio di Van Damme, vuole vendicarsi ma Taylor, un trafficone americano di buon cuore reduce del Vietnam e residente in loco, glielo impedisce e gli spiega che l’unico modo per farsi giustizia è il ring. Kurt, che ha le basi ma non è un campione, chiede chi sia il miglior maestro e Taylor lo porta da tale Xian. Inutile dire che si tratta dell’inevitabile simil maestro Miyagi di tanti film (al punto che ci vorrebbe un albo dei Miyagi), che con allenamenti non convenzionali e una nipote discretamente carina lo porta ad alto livello. Arriva finalmente il momento della sfida con Tong-Po, che dovrà svolgersi secondo i costumi antichi: in un sotterraneo, indossando al posto dei guantoni una fasciatura con intorno pezzi di vetro incollati. Roba da Spartacus, quando combatteva nelle fosse dell’Ade (almeno nel telefilm). Il tutto con la zavorra psicologica del rapimento del fratello, in modo che Van Damme non pensi a vincere. Non diciamo come va a finire, per non togliere la sorpresa (?) a chi non ha visto il film, né ci mettiamo ad elencare le scene mitiche (una per tutte: quando Van Damme, ben motivato da Xian, spacca l’albero a calci). E rispondiamo a una domanda a cui non avevamo risposta fino a qualche giorno fa: che differenza c’è fra full contact e Muay Thai? Con la premessa che  nel film, secondo gli esperti, Van Damme usa un misto di Muay Thai (anche in Italia ci sono varie scuole della sua versione pura) e di karate non antico ma nella versione shotokan, che onestamente non distinguiamo dalle altre (rimandiamo a Wikipedia, sperando che la voce sia stata scritta da uno bravo). Il full contact altro non è che una delle tante declinazioni del karate e della kickboxing: in pratica i colpi possono essere affondati, ovviamente solo dalla cintura in su (in gara), con tutto quel che ne consegue in termini di pericolosità. Anche perché ne esiste una versione con guanti e protezioni, molto diffusa negli Usa, ed un’altra a mani nude. E la Muay Thai? Non essendo dei tecnici, citiamo la sua principale differenza con il full contact e cioè la possibilità di usare gomitate e ginocchiate insieme agli scontati pugni e calci. La facciamo semplice, ma in questo mondo ogni nazione e in certi casi quasi ogni palestra ha un suo regolamento (per dire, c’è una versione della kickboxing in cui si possono dare calci alle gambe) e quindi in ogni caso si dice qualcosa di sbagliato o che faccia stizzire gli esperti. Tante parrocchiette che non hanno l’intelligenza o la voglia di darsi regole comuni, se non su base locale. E così è inevitabile che un attore sia più famoso, anche presso i praticanti, del campione mondiale di Muay Thay. Certo è che il Van Damme da arti marziali (Senza esclusione di colpi e Lionheart) è più credibile del Van Damme maturo, con l’esclusione dei sequel di Universal Soldier (con il ritorno anche di Dolph Lundgren), che sul piano filosofico hanno un loro perché.

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