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Le parole di Sergio Bonelli

Stefano Olivari 27/09/2011

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di Stefano Olivari
Fra i tanti meriti di Sergio Bonelli c’è anche quello di avere ottenuto i riconoscimenti e il rispetto di tutti, anche dei concorrenti, mentre era in vita e senza dovere aspettare i coccodrilli di routine dove tutti diventano grandi maestri e aprono vuoti incolmabili che poi però stranamente vengono sempre colmati.
Bonelli significa Tex, non solo perchè suo padre Gian Luigi ne fu il creatore e lo sceneggiatore storico, ma perché grazie a contaminazioni non sempre capite ha saputo farlo sopravvivere nei decenni (considerando anche gli albi a striscia, adesso Aquila della Notte come personaggio ha raggiunto i 63 anni) accontentando sia i tradizionalisti che i tifosi di una evoluzione nella continuità (chiamamola così, in democristianese). Chi come noi ne è lettore da sempre, arrivando fino al punto (di non ritorno) di comprare anche la collezione a colori allegata a Repubblica, fa sicuramente parte di uno dei due partiti: quello di Claudio Nizzi, per molti versi erede di Bonelli padre, con le sue storie molto John Wayne ma senza le sottigliezze di John Ford (schema tipo: Tex arriva in un paesello in cui gli allevatori onesti vengono taglieggiati da quelli disonesti, che però ufficialmente sembrano rispettabili), e quello di Mauro Boselli, che punta su storie più corali e delinea meglio i caratteri dei nemici del ranger. Stiamo ovviamente semplificando, come chiunque abbia letto e riletto i 611 albi della serie originale può capire. Ma avremo modo per riparlare di Tex, anche in negativo (non abbiamo mai sopportato gli albi speciali, come se Tex avesse bisogno di una legittimazione autoriale), che ci auguriamo non muoia mai. La grandezza di Bonelli come editore e autore risiede anche nella creazione di Zagor, una specie di laboratorio per l’incrocio dei generi: a noi non è mai piaciuto, ma di sicuro è sbagliatissima la sua contrapposizione a Tex che viene fatta da chi parla per sentito dire. Al massimo è stata una contrapposizione di mercato, nel senso che lo spazio nelle camerette imponeva di fare delle scelte. Non siamo molto originali nell’affermare che il vero personaggio bonelliano è Mister No, oltre che il più affascinante di tutta la casa editrice. Ex combattente nella Seconda Guerra Mondiale ma anti-militarista, fuggito dal mondo e rifiugiatosi in Amazzonia, Jerry Drake è anche il personaggio più complesso (insieme all’indimenticato Ken Parker) di tutta la storia della casa editrice. Senz’altro più di Dylan Dog, per citare un altro fumetto di cui non abbiamo perso un albo, pieno di citazioni ‘telefonate’ e di ben dosati ingredienti di marketing: onore quindi al Bonelli editore, capace in questo caso di conquistare anche il pubblico femminile. Molto texiano il poliziesco Nick Raider, che dopo una trentina di numeri ci ha stancato: difficile far sognare con l’attualità. Conosciamo poco la produzione fantasy, invece (Martin Mystére su tutti, una specie di antesignano di Roberto Giacobbo) e quella fantascientifica (Nathan Never e altri). Molto curiosa la storia del Comandante Mark, nostro acquisto fisso nei cestoni delle edicole di località marine (esistono ancora!) insieme a pacchi impolverati di Intrepido e Monello: personaggio bonelliano minore, che sfugge a qualsiasi classificazione (una serie italiana incentrata sulla lotta fra americani e colonizzatori inglesi è oltre il culto, già come soggetto), dopo anni di chiusura è adesso ancora in pista con un altro editore. Cosa volevamo  dire alla fine, oltre che siamo felici di avere intercettato e ascoltato Sergio Bonelli in tante conferenze e mostre di fumetti? Rubiamo la frase che il supremo Robert Harris fa dire a Tirone, segretario di Cicerone, nell’emozionante Conspirata: le parole sono l’unica cosa che rimane.


Stefano Olivari

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