Calcio
Le palle di Garella
Stefano Olivari 13/08/2022
Claudio Garella è stato probabilmente il più forte portiere italiano a non giocare un solo minuto in Nazionale, nemmeno a livello giovanile. Ed avere incrociato per metà carriera l’era Zoff non c’entra, perché in diversi dietro a Zoff qualche occasione l’hanno avuta, senza contare che dal 1983 in poi Bearzot avrebbe avuto libertà di scelta e già all’epoca Garella era fra i migliori nel ruolo, non inferiore ai vari Bordon, Galli e Tancredi anche se mediaticamente zavorrato dalla provincia. A dirla tutta Garella non si sentiva inferiore nemmeno a Zenga (con il quale ebbe una famosa polemica nel 1987, quando Zenga sembrava già passato dall’Inter al Napoli) e a Tacconi, che pure era il collega che stimava di più, non ha aspettato di essere un ex giocatore per far notare quanto fosse sottovalutato.
E anche adesso che è morto, a 67 anni, viene ricordato quasi come una figurina naif, per le sue parate di piede e le uscite a valanga (come Neuer, si potrebbe dire) ed il suo fisico a prima e seconda vista non da atleta. Insomma, carne da coccodrillo nostalgico o da storytelling in dolcevita nero. Invece è stato la base del Verona dei miracoli di Bagnoli, non soltanto nell’anno dello scudetto ma anche in quelli prima, ed un protagonista, ovviamente non il principale, del primo scudetto del Napoli. Ma per fortuna ci sono le immagini, inutile ribadire ciò che tutti sanno. Forse nella considerazione dei media per Garella hanno pesato gli inizi non proprio da predestinato, quando alla Lazio fu messo da Vinicio al posto del totem Felice Pulici, con risultati negativi e battesimi (tipo ‘Le garellate’) difficili da far dimenticare. Non è che tutto ciò che ha detto Beppe Viola sia intelligente, discorso che vale ancora di più per Agnelli (quello vero) o per i tanti altri che non si sarebbero mai permessi di sfottere il portiere di una grande tradizionale.
Al di là delle tante straordinarie parate, di Garella ci piace ricordare il carattere, per non dire le palle. Portiere molto parlante in campo e fuori, al punto di fare quasi sempre la guerra ai suoi allenatori del momento: in particolare Bagnoli reo di sminuire i suoi meriti e poi di voler bloccare il trasferimento al Napoli, e Ottavio Bianchi mettendo la faccia sul famoso comunicato a a quattro al termine della stagione 1987-88, ispirato da Maradona ma senza metterci la faccia. Senza dimenticare le polemiche contro Bearzot, che lo aveva trascurato e che secondo lui non sapeva gestire i portieri (si era dopo il Mondiale del 1986), Berlusconi che lo aveva accusato di uscire in maniera pericolosa, i troppi stranieri in Serie A (e ce n’erano due per squadra…), i giornalisti che davano i voti in pagella in base alla squadra di appartenenza, i dirigenti, in particolare Ferlaino e Moggi, che non difendevano i propri giocatori. Claudio Garella aveva personalità, troppa per un ambiente di conformisti: che infatti nel dopo-calcio lo ha cancellato in maniera totale, con le uniche chance di allenare avute in Prima Categoria, con l’eccezione di un anno da preparatore dei portieri al Pergocrema, in LegaPro. Al Torino che tanto amava, e dove era cresciuto, avrebbe anche portato i palloni. Ecco, questo è il calcio che adesso fa i tweet nostalgici per Garella.
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