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Basket

Le nazionali giovanili secondo Aldo Giordani

di Stefano Olivari

Pubblicato il 2020-11-24

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Le nazionali giovanili sono utili? Di sicuro lo sono per dirigenti e allenatori coinvolti, a prescindere dallo sport: spesso seconde linee, quando non direttamente falliti (cit. Cassano), che mai troverebbero spazio in un club ambizioso. Quanto all’utilità per i giocatori, Aldo Giordani aveva una risposta secca: no. Perché partite e allenamenti senza continuità non facevano, e non fanno, migliorare i mediocri mentre in quelli bravi generano l’effetto nausea.

In questi ultimi giorni ci è venuto in mente Giordani dopo avere appreso della morte di sua moglie, Francesca Cipriani (solo omonima della protagonista di un Grande Fratello di qualche anno fa, per chi la cercasse su Google), a 95 anni. Ex azzurra di pallacanestro, in campo agli Europei del 1950 (!), madre di Claudia argento olimpico nello slalom ai Giochi di Innsbruck e moglie di un uomo che ha vissuto per la pallacanestro, rarissimo caso di giornalista capace di parlare sia alla parrocchietta sia al pubblico generalista.

Ma tornando all’opinione di Giordani sulle nazionali giovanili, Paolo de Paola ci segnala una interessante intervista di Varese Sport a Diego Tosarini, nome per noi perduto nella memoria di qualche tabellino e mai più riaffiorato per decenni. Chi è Tosarini? A livello giovanile, classe 1962, uno dei giocatori di pallacanestro più forti della sua generazione: e del resto nelle fasi finali, mentre all’inizio le gerarchie erano diverse, degli Europei Cadetti del 1979 la sua riserva si chiamava Antonello Riva. In quella nazionale i trascinatori insieme a Tosarini (che nella finale persa con la Jugoslavia segnò 19 punti) erano il suo compagno a Varese Ricky Caneva e Alberto Tonut, e giocava anche Andrea Forti. Non ci ricordiamo perché mancasse un altro 1962 super come Marco Lamperti

Poi la nausea, nonostante Tosarini fosse cresciuto in una delle società meglio organizzate d’Italia, cioè la Varese anni Settanta, e l’addio alla pallacanestro vera a 19 anni, per lavorare nell’azienda di famiglia e giocare come amatore fino quasi ai 40. Questo è un caso limite, di uno che ha smesso, ma in generale il proliferare di nazionali e di competizioni giovanili, al di sotto delle nazionali e delle competizioni vere, serve più a chi sta fuori dal campo che a chi è in campo.

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