Le Coq Sportif

30 Luglio 2022 di Stefano Olivari

Estratto del capitolo ‘Le Coq Sportif’, contenuto nel libro Italia 1982 – Storia critica del Mondiale più bello, disponibile in versione elettronica Kindle, a 6,99 euro, e in versione cartacea al prezzo indicativo di 14,90 euro, su Amazon e in tutte le librerie d’Italia, prima fra tutte la Hoepli, che lo avranno ordinato a Distribook.

Il giorno dopo l’esordio con la Polonia nel ritiro di Pontevedra si presentò Giacinto Facchetti. Il grande ex difensore dell’Inter e della Nazionale, fra l’altro amico di Bearzot, era lì come rappresentante di Le Coq Sportif, insieme ad altri dirigenti dell’azienda francese controllata dall’Adidas. Fra questi Blagoje Vidinic, ex portiere della Jugoslavia ma soprattutto ex allenatore di diverse nazionali, fra cui lo Zaire del Mondiale 1974. Senza problemi Facchetti disse ai giornalisti lì presenti che era lì per distribuire i soldi dell’accordo raggiunto fra i giocatori e Le Coq Sportif, in tutto 110 milioni di lire, quindi 5 milioni di lire a testa. I giornali ne scrissero e nessuno si chiese in cosa consistesse quel ‘distribuire’ visto che si sarebbe potuto risolvere tutto con bonifici o assegni, senza quello strano viaggio nel ritiro azzurro.

Quattro anni dopo si sarebbe capito qualcosa in più, grazie ad un’inchiesta di Roberto Chiodi, che su Epoca, nel luglio 1986, scrisse che Le Coq Sportif avrebbe per le prestazioni in Spagna pagato in nero alla Nazionale una somma intorno ai 400 milioni di lire in totale, 323.450 dollari al cambio del tempo. Al di là dei soldi in nero, nel calcio più la regola che l’eccezione, era molto interessante il rapporto fra Le Coq Sportif e l’Italia. In pratica l’azienda forniva gratis il materiale tecnico alle nazionali azzurre, ma non pagava assolutamente niente. Fino a qualche anno prima non ci sarebbe stato niente di strano, però nel mondo dello sport le cose stavano cambiando e tanti azzurri vedevano che i colleghi di altre nazionali i soldi dallo sponsor li prendevano.

Così l’entrata in scena di Ellesse venne sfruttata al massimo. L’azienda perugina vestiva Bearzot e altri giocatori nell’extracalcio, ma nel 1982 avrebbe desiderato essere sponsor dell’Italia in maniera ufficiale, anche per quanto riguardava l’abbigliamento di gioco. Cosa impossibile, perché le Coq Sportif aveva un contratto con scadenza 1984 e perché faceva parte del gruppo Adidas, con tutto quel che ne conseguiva: Horst Dassler era l’uomo che di fatto governava lo sport mondiale e la FIFA in particolare, e fargli la guerra, oltretutto senza avere ragione, non sarebbe stata una mossa intelligente. A provarlo, senza andare troppo lontano, le semifinaliste del Mondiale 1982: tre squadre Adidas ed una, l’Italia, di un’azienda controllata dall’Adidas. Pur sapendo che la FIGC non poteva rompere il contratto i giocatori italiani sfruttarono l’offerta di Ellesse per chiedere soldi a le Coq Sportif e li ottennero.

Chiodi rivelò che nel febbraio 1982, in occasione di Francia-Italia, in un albergo di Parigi c’era stato un incontro fra Dassler, Vidinic, Sordillo e il segretario della FIGC Dario Borgogno. Sordillo aveva fatto presente che i giocatori erano scontenti e in un successivo incontro nel marzo 1982 a Torino, Zoff e Tardelli in rappresentanza anche degli altri discussero della questione direttamente con Vidinic, concordando sul fatto che i pagamenti, in quattro rate (i 110 milioni di Facchetti quindi una delle quattro), sarebbero stati effettuati in Spagna. Il dettaglio straordinario del servizio di Epoca e che probabilmente questi soldi erano stati portati in Italia sull’aereo presidenziale. Il titolo, ‘Sotto il naso di Pertini’, fu di grande impatto.

La bomba mediatica esplose a luglio, proprio dopo la delusione del Mondiale messicano, con Bearzot di fatto già esonerato e mille polemiche. Senza contare che il calcio italiano era alle prese con un nuovo calcioscommesse, sia pure con nomi di minore importanza rispetto a quelli di sei anni prima. In questo quadro il 1982 diventò quindi ancor di più un mito da venerare e difendere: l’inchiesta di Chiodi venne accolta dal resto dei media con sufficienza, quando non direttamente con il silenzio. In maniera diversa si comportò invece la magistratura: il sostituto procuratore di Milano, Alfonso Marra, interrogò subito il giornalista e scatenò la polizia tributaria alla ricerca di prove. Il supertestimone della situazione fu l’avvocato Angelo Ormanni, che avrebbe ricevuto documenti da Vidinic. Il 14 luglio venne interrogato Sordillo, il quale raccontò che all’incontro di Parigi erano stati presenti anche De Gaudio e l’avvocato Giovanni Abbaticola. La linea del presidente della FIGC fu subito chiara: io non c’entro, la federazione nemmeno, semmai sono fatti privati dei calciatori. E di Bearzot, che secondo Chiodi avrebbe incassato 15 milioni ma in Italia, non in Spagna come i suoi azzurri. Le prove di tutto erano le ricevute di pagamento che Vidinic sosteneva di avere. Il reato ipotizzato era ‘Omessa cessione della valuta’, che secondo una legge del 1976 era punibile da uno a sei anni di reclusione. Un reato in cui incorreva chi non comunicava entro 30 giorni all’Ufficio Italiano Cambi la sua posizione in valuta estera.

Peccato che Vidinic fosse impossibile da rintracciare: residente a Friburgo, operativo a Parigi, ma spesso ad Atene dove risiedeva la moglie, messicana. Delle ricevute di Vidinic si parlò molto e importante fu anche l’interrogatorio di Facchetti. I 22 campioni del mondo 1982 vennero rinviati a giudizio per direttissima, per falsa denuncia dei redditi, e il 18 settembre un altro sostituto procuratore di Milano, Ilio Poppa, fece sequestrare i passaporti dei giocatori. Durante gli interrogatori i campioni del mondo all’inizio negarono tutto e dissero di avere ricevuto soldi soltanto dalla FIGC, poi ammisero di aver preso circa 21 milioni in nero a testa dagli emissari di Le Coq Sportif. Una confessione a scoppio ritardato che aveva un suo perché: nel frattempo era cambiato il tetto di valuta esportabile senza l’autorizzazione dell’ufficio italiano cambi, diventato di 100 milioni di lire. Quindi l’ottava sezione del Tribunale di Milano ritenne di non dover procedere perché il fatto non costituiva più reato. Il 15 dicembre 1986 la storia dal punto di vista del reato valutario finì, ma proseguì invece per gli aspetti fiscali. Poppa interrogò tutti, dall’1 di Zoff al 22 di Galli, ricevendo in cambio risposte vaghe. Qualcuno non ricordava, altri dissero di avere ricevuto pochi soldi, l’equivalente di 9 milioni di lire e non 21, altri ancora si confusero. Vidinic non si fece mai trovare e nel frattempo Dassler morì, portandosi nella tomba la verità anche su una vicenda minore come questa. Nell’agosto 1987 Poppa chiese il proscioglimento di 20 azzurri su 22 dall’ipotesi di reato di frode fiscale, ma ancora in ballo rimasero Baresi e Paolo Rossi a causa dei soldi che avrebbero preso in nero da Farina al Milan. In qualche modo ne sarebbero usciti anche loro, e dei pagamenti di Le Coq Sportif ai campioni del mondo non si sarebbe parlato più.

Estratto del capitolo ‘Le Coq Sportif’, contenuto nel libro Italia 1982 – Storia critica del Mondiale più bello, disponibile in versione elettronica Kindle, a 6,99 euro, e in versione cartacea al prezzo indicativo di 14,90 euro, su Amazon e in tutte le librerie d’Italia, prima fra tutte la Hoepli, che lo avranno ordinato a Distribook.

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