Le alternative non esistono

17 Agosto 2020 di Stefano Olivari

Le alternative non esistono – La vita e le opere di Tommaso Labranca è uno dei tanti libri che vorremmo avere scritto, ma per fortuna è stato almeno uno dei pochi che abbiamo davvero letto. L’unico difetto dell’opera di Claudio Giunta dedicata a quello che riteniamo il più grande intellettuale italiano dell’era moderna è infatti di avere una fine. Lasciandoci quindi per una seconda volta orfani di Labranca, dopo la morte avvenuta nel 2016.

Giunta nel libro prodotto da Il Mulino parte proprio dalla morte di Labranca, preparata da un lungo addio pieno di delusioni, di marchette mal pagate, di talento disperso in troppe direzioni. Infarto o suicidio? Chi ha letto ogni pagina di Labranca, almeno quelle reperibili senza acrobazie (nonostante la buona volontà siamo riusciti a leggere in totale un solo numero di Tipografia Helvetica, la semiclandestina rivista culturale di Labranca finanziata da una coppia di mecenati svizzeri), non ha bisogno di referti medici: il nostro intellettuale di riferimento non si è suicidato ma si è lasciato andare, non si è opposto alla morte.

Raramente come in questo libro vita e opere sono intrecciate, al di là del sottotitolo uguale a mille altri. Perché i fondamentali libri di Labranca sulla cultura pop nascono non da un professore che applica al mondo di oggi categorie letterarie (lui poi nemico giurato del pregiudizio scolastico), ma da un onnivoro autodidatta che del popolo faceva parte e quindi non lo sfotteva, ma nemmeno lo mitizzava. Tutto questo al di là del fatto che il trash, purtroppo l’unica cosa che ha fatto uscire Labranca dal circuito dei suoi fedeli, fosse e sia trasversale rispetto ai ceti sociali.

Giunta, professore di letteratura italiana all’Università di Trento, cita la famosa equazione del trash secondo Labranca (k moltiplicato intenzione, meno risultato, uguale trash), con k che è una costante (incapacità, ritardo, eccetera) che ingigantisce l’intenzione, ma è convinto che il cuore dell’analisi di Labranca sia altrove. E che risieda nel suo collocarsi fuori dal sistema culturale italiano, pur essendone dentro come autore televisivo (con le vette, quanto a guadagni e considerazione, di Anima mia con Fazio e Baglioni), scrittore, traduttore, editore….

La vita di Labranca, nell’ultima parte vissuta a Pantigliate, nell’hinterland industriale milanese, gli ha permesso di rimanere in un equilibrio quasi miracoloso fra i valori dell’Italia per così dire analogica e l’entusiasmo per innovazioni tecnologiche e consumismo. Unico fra gli intellettuali italiani, Labranca amava profondamente l’industria, i prodotti, la creatività applicata ad un progetto che facesse tornare i conti. E ne parlava con amore, del presente, anche quando sottolineava gli aspetti più grotteschi della società dei consumi.

Qualcuno ha accostato Labranca a Pasolini, ma nel primo non c’era alcun rimpianto per un’innocenza perduta da parte dei ceti popolari. Forse per le buone maniere e la tranquilla medietà dell’Italia in bianco e nero, ma certo non per la purezza della ‘gente’. Anzi, Per Labranca innovazioni tecnologiche e consumi hanno di molto migliorato vita e possibilità di tutti. E pazienza se dall’immaginario collettivo, anche da quello degli scrittori, è scomparsa la letteratura, ammesso che ne abbia mai fatto parte. Insomma, Labranca era tutto tranne che un reazionario. Semmai era un solitario, innamorato di mille cose, forse anche delle persone ma certo non della loro compagnia fissa. Negli ultimi tempi era stato folgorato dall’idea dell’Islanda al punto di iniziare lo studio della lingua ed un ascolto ossessivo dei Sigur Ros.

L’equivoco di fondo di Labranca, ma in fondo anche del labranchismo che ha influenzato tantissimi giornalisti ed anche qualche romanziere (cosa che Labranca non era), è sempre stato uno: rispettare il lavoro di Orietta Berti ed ammirare la bravura di Orietta Berti non significa essere un nemico del popolo se non ascolti la musica di Orietta Berti. In questo gioco dell’antisnobismo che è più snob dello snobismo, in fondo caro a tutti, Labranca un po’ si è perso ma in ogni sua opera, anche la meno riuscita, ci sono una forza commovente e una innocenza perduta (la citazione trash, nell’accezione labranchiana, sarebbe ‘Rosebud’) che rendono possibile citarne interi passi a memoria. Anche se Labranca non sarà studiato nei licei, nonostante Giunta osservi che abbia più di qualcosa in comune con Pirandello.

Uomo difficile, per sè stesso e per gli altri, Labranca non era certo immune rispetto all’invidia per gli altri scrittori e all’alta considerazione di sé, Giunta raccoglie una serie impressionante di testimonianze a questo riguardo su piccole e grandi miserie umane. Grandi assenti nelle opere di Labranca, ed in parte anche nella vita, amore e sesso. Labranca era omosessuale, forse anche con qualche incursione nell’altro campo, ma più di tutto era un proletario che voleva e doveva farcela. Un proletario senza lo stupido orgoglio di essere un proletario, fra l’altro.

Su tutto c’è però che da Andy Warhol era un coatto a Vraghinaroda, passando per mille collaborazioni (la più di culto quella con Cronaca Vera) e progetti, in ogni pagina di Labranca, anche la più marchettara e mercenaria, non manca mai almeno un’idea, un guizzo, una parola intelligente. Nessuno può dire se fra un secolo qualcuno si ricorderà di lui, ma certo la sua visione del mondo ha influenzato tanti,

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