Laudatori di Messina

4 Dicembre 2020 di Oscar Eleni

Oscar Eleni con una tazza di cioccolata amara sulla porta del campetto dove un ragazzo tenta di fare canestro. C’è soltanto lui, così come su quello di calcetto c’è un altro tipo che tenta stop impossibili. Uno a uno calcio-basket? Ma dai. Sono trucchi della pandemia, roba da gente mascherata e in fuga adesso che insidiano persino Malagò alla presidenza e lo fa una che sul campo è andata bene come la Bellutti, proprio adesso che il Petrucci spesso punzecchiante al palazzo acca non sogna altro di far parte della rivolta contro “o ministro”. Sarebbe come accodarsi sull’autostrada dell’ovvio a quelli che dopo la scorpacciata con l’Alba Berlino parlavano addirittura di finali di Eurolega per questa Armani senza un centro di gravità permanente. Adesso sembrano tutti convinti che nella costruzione della simpatica armata abbiano dimenticato cosa gira davvero nelle grandi competizioni. In Italia, forse, te la puoi cavare, ma fuori dai confini finisci per prenderle anche con la Stella Rossa e di farti mangiare una dote di 15 punti dal Panathinaikos che era appena stato sculacciato dal Villeurbanne.

Ettore Messina dovrebbe modificare il suo atteggiamento da duce truce in quello di Hannibal Lecter, mangiandosi qualche mano e qualche fegato alla brace. Chiaro che i laudatori a cottimo, quelli che vedono il marchio come in quel filmato comico fatto girare dal nano geniale per gli ultrasessantenni, insomma gente che scopre problemi alla prostata perché si piscia sulle scarpe o i pantaloni, scappano con la stessa rapidità che mostreranno i cortigiani del regno Petrucci appena avranno scoperto che la sua rivoluzione arriverà comunque in ritardo e sostenerlo, quando dice che le retrocessioni sono il sale anche a palazzi vuoti, e non gli darà benefici sperati. Non è sportivo togliere il sale, non sarebbe neppure giusto dire che la serie A ideale dovrebbe essere a 12 squadre. Vero che in pochi resistono, adesso nella crisi, di certo anche domani, ma se vogliamo il sale allora mettiamolo su tutte le pietanze del sistema, dagli arbitri ai comitati regionali.

Tornando all’Armani, è irritante leggere le sviolinate dei giocatori a Messina e non sai mai se lo fanno per la sua stupenda carriera di allenatore o soltanto perché è il presidente che può darti il foglio di via anche se non sei vegano come il White che sul campo gli ha dimostrato di saper lottare e fare qualcosa. Se sono tutti folgorati da Ettorre allora perché scappare in altre dimensioni come è successo con la Stella Rossa, come è avvenuto con il Pana? Dal primo giorno diciamo che manca rabbia agonistica, tutti fini dicitori o quasi, ma al momento della verità quando il toro nemico è davvero furioso ecco venir fuori il vizio originale di chi pensa di aver trovato a Milano la greppia che altre società hanno negato. Certo il calendario fitto stronca e limita il lavoro in allenamento, ma alzi la mano chi ha visto progressi tecnici individuali nel caro Tarcisio, chi ha visto interpretare lo sparito d’attacco come armonia.

Magari all’inizio, ma poi Messina cambia anche quando tutto funziona. Ossessionato forse dall’idea che  le energie fisiche serviranno più avanti e si devono risparmiare tutti, dando ad ognuno l’idea di essere importante. Magari un po’ meno agli italiani e qui il responsabile tecnico del basket nazionale ci fa dire ‘Non capiamo ma ci adeguiamo’, come già dicemmo in campagna acquisti quando ci saremmo orientati su altri soggetti. Nella girandola chi ha messo il saio per contratto tende a spogliarsi di nascosto e allora ecco certi tradimenti. Una squadra senza dentro la voglia di fare paura davvero. No, sembrano i duellanti nei film di Woody Allen. Servirebbe sempre l’arroganza del censo tecnico per non farsi rimontare o prendere parziali dal mal di stomaco. In Italia forse si nota meno? Be’, vedremo quando ci saranno le partite senza domani, ammesso che ci si arrivi perché qui la baracca sta andando a fuoco. Servivano capi in grado di prendere decisioni in pandemia, a palazzi chiusi. Siamo ancora alle frasi da litigio nelle elementari: tenetemi altrimenti, non fatemi arrabbiare, se disubbidite allora rivoluzione. Tutta roba per siti da parco Ravizza, un posto dove a Milano si andava per scoprire il lato oscuro dell’amico, ma anche di te stesso.

In questo calendario da Quaresima, nella confusione di partite fra gente che si allena davvero e altre che sono rincorse dal tamponatore, nessuno osa pensare che Milano uscirà dalle prime otto, certo le quattro prossime trasferte di eurolega  ci diranno di che pasta è fatta questa squadra che al momento merita simpatia più che rispetto. Le pagelle nella doppietta al Forum prima di pitturarsi le penne nella partita di Varese influenzati più dal flop nell’insalata greca che dalla bevuta sotto il cielo  del Forum ospitando Berlino.

Delaney 5.5: bell’inizio, finale tragico. Coi tedeschi da 7.

Punter 6: con l’Alba il suo chicchirichì, con il Pana uova d’oro calpestate alla fine.

Micov 5: un genio che cammina serve a poco.

Brooks 5: ci sono, non ci sono. Un mistero.

Tarczewski 4.5: non si vedono i progressi annunciati da Messina dopo l’Alba.

Shields 6: non si risparmia nel lavoro sporco, ma ogni tanto sembra sedersi sul fiume aspettando anche troppo.

Roll 5.5: generoso sempre, ma col Pana ha ripreso a sparare pietrate.

Hines 6.5: la roccia, ma non può tenere in piedi il palazzo da solo.

LeDay 5: Dopo l’alba radiosa la caduta fra le cariatidi. Un recupero lungo e difficile, come tanti altri, direbbe Nedovic.

Datome 5: oltre la siepe dei dolori muscolari ha trovato ben poco, non è guarito, non azzanna, forse sente la nostalgia dell’Obradovic che lo invitava ad andare dove sa lui.

Moraschini 5: dirigere è dura, stare in campo è difficile, pensavamo, però, che facesse un passo di bimbo alla volta, invece troppe volte inarca la schiena e chiude gli occhi come quando tira male.

Rodriguez 6.5: la sua arte quando manca si vede, non certo la sua difesa, l’orticaria in una grande carriera.

Messina 5.5: più Conte che Pioli, arrabbiato quasi sempre, accomodante troppo spesso nel dopo partita, fremebondo nella ricerca di una squadra più che di un coro affidabile.

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