L’atletica triste senza Tamberi

20 Luglio 2016 di Indiscreto

A cinque giorni dall’infortunio alla caviglia, e il giorno dopo l’operazione effettuata a Pavia, ancora non riusciamo ad accettare che Gianmarco Tamberi non possa partecipare ai Giochi di Rio, ma l’atletica e soprattutto la vita sono ingiuste: non è una scoperta del 2016. L’unica vera speranza azzurra di medaglia, campione mondiale indoor ed europeo all’aperto, a Monte Carlo non ha lasciato soltanto un record italiano stellare (2,39) e le speranze olimpiche, ma anche l’interesse che la sua figura avrebbe destato in quel pubblico generalista che ha bisogno del campione azzurro per appassionarsi a sport diversi dal calcio. Può non piacere, ma funziona così e non è soltanto colpa dei media che parlano di Higuain e Pogba. Una sciagura per la nostra atletica, che a questo punto in Brasile può soltanto sperare in un jolly pescato dai marciatori e soprattutto dalle marciatrici, complice l’assenza della Russia. In questi giorni molti esperti si sono esercitati nella risposta alla domanda delle domande: la colpa dell’infortunio è stata di quel (secondo) tentativo a 2,41 o Tamberi avrebbe avuto le stesse probabilità di farsi male in allenamento? Allenatori e medici concordano soltanto sul fatto che il legamento deltoide della caviglia sinistra si sia lacerato per l’eccessiva inclinazione (eccessiva rispetto alla meccanica del Tamberi medio), rispetto al terreno, della caviglia negli ultimi appoggi, ma nessuno può affermare con certezza che in altri contesti e su misure inferiori Tamberi avrebbe corso meno rischi. Diversamente nessuno si farebbe male in allenamento o nelle qualificazioni a misure da decathleti, come invece avviene spesso. Di sicuro un salto in più è sempre un rischio in più, ma rinunciare ad inseguire il cielo non sarebbe stato un comportamento da Tamberi. Continua sul Guerin Sportivo.

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