Atletica di Gay e cultura di Nebiolo

16 Luglio 2013 di Carlo Vittori

La positività all’antidoping di Tyson Gay e Asafa Powell ha distrutto definitivamente la credibilità dello sprint, dell’atletica, dello sport? Non lo posso dire a caldo, perché il doping i suoi effetti nefasti li produce soprattutto nel medio e lungo periodo. Non solo a livello medico, ma anche di immagine e di reclutamento di giovani. Certo è che la diffusione di questo fenomeno non è storia di pochi mesi fa, ma affonda le sue radici in quella che io definisco ‘L’atletica di Primo Nebiolo‘. Il grande presidente della FIDAL e della IAAF, idolatrato quasi all’unanimità dai giornalisti dell’epoca, che lui si sapeva ingraziare come pochi altri dirigenti dello sport mondiale.

Non che Nebiolo, che ovviamente ho conosciuto benissimo all’epoca in cui lavoravo per la federazione, dicesse o suggerisse agli atleti di doparsi. Ma la sua filosofia di atletica-spettacolo, con protagonisti che devono essere sempre in copertina e sempre al top della forma per attirare sponsor e diritti televisivi (più manifestazioni ufficiali, più meeting, più tutto), ha posto le premesse culturali e politiche perché in tutto il mondo partisse una caccia al record e al campionismo a tutti i costi che alla fine si è tradotta in quello che stiamo vedendo. Senza contare poi che l’atletica è rimasta, dal punto di vista finanziario e in rapporto al calcio, uno sport di serie B. E’ stupido lapidare Gay e Powell, quando a trarre vantaggi dalle loro squalifiche sarà, per dire, Gatlin.

La strada della Wada è quella giusta, senza più paura di colpire gli idoli del momento: sarebbe bello vedere questo attivismo anche in sport diversi dall’atletica e dal ciclismo, ma adesso è di atletica che stiamo parlando. Uno sport con basi etiche uniche, che ho sempre considerato ‘educazione integrale’ per qualunque essere umano. E che va apprezzato senza bisogno di record nel mezzofondo ottenuti con lepri o di culturisti ai blocchi di partenza.

Il problema, tornando al ‘nebiolismo’, non è quindi solo quello dei controlli a sorpresa, ma cambiare l’atteggiamento degli addetti ai lavori. Lanciare accuse non suffragate da prove non si può, ma evitare certa retorica sì. Magari accettando i limiti umani. Il record del mondo dei 100 metri è rimasto immutato dal 1968 al 1983 (in un’epoca già con doping diffuso e con le gare in altitudine che non mancavano) e quello nei 200 di Mennea è durato 17 anni.

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