L’assist di Yelverton per Jura

10 Giugno 2019 di Indiscreto

Charlie Yelverton insieme a Chuck Jura: è stato il grande sogno della nostra estate 1979, quando il campione newyorkese stava lasciando Varese e quello del Nebraska non aveva ancora lasciato Milano (sponda Xerox). Un sogno che vivremo sabato sera, quando Yelverton si esibirà al sax in onore del vecchio amico, purtroppo mai compagno di squadra.

La grande sorpresa era quindi Yelverton, rimasto a vivere in Italia e ormai più conosciuto come jazzista che come giocatore, per tre stagioni, della più forte squadra italiana di tutti i tempi, per distacco: difficile definire in altro modo chi è arrivato alla finale di Coppa dei Campioni (cinque vinte) per dieci anni consecutivi.

Al Bootleg di via Salutati, a Milano, sabato 15 giugno dalle 19 alle 21 (più precisi di così non potremmo essere), Yelverton si esibirà nel suo repertorio musicale davanti a Jura e poi insieme a lui saluterà chi avrà voglia di salutare due icone della pallacanestro italiana anni Settanta, quando per ovvie ragioni (meno squadre e roster ridotti nella NBA, fuori dagli USA meno campionati ricchi oltre alla Serie A) chi non aveva una carriera professionistica negli Stati Uniti poteva comunque essere un campione.

Scelto al numero 25 nel draft NBA 1971, guardia al tempo stesso fisica e creativa, fra l’altro come versatilità (poteva giocare anche ala piccola) adattissima alla pallacanestro di oggi: bravo un po’ in tutto, eccelleva in difesa e fu una scommessa (gli stranieri dell’epoca erano quasi sempre lunghi) vinta da Sandro Gamba. Fra le altre cose Yelverton è stato Kaepernick quasi mezzo secolo prima di Kaepernick, quando si rifiutò di alzarsi in piedi durante l’esecuzione dell’inno americano. Protesta in piccola parte contro la guerra in Vietnam e in gran parte contro il razzismo della società americana e all’interno della stessa NBA. Il risultato fu una campagna di odio, anche senza Twitter, in cui Yelverton si prese del comunista e della Black Panther, al termine della quale i Blazers e la lega lo invitarono ad andarsene: un giocatore, nero o bianco che fosse, non doveva esprimere opinioni politiche.

Questo non ha impedito a Yelverton, spirito libero, di smarcarsi dal politicamente corretto e da una certa retorica afro-americana, apprezzando uno fuori dagli schemi come Trump (al contrario di Nixon, che lo Yelverton NBA criticò duramente). Da ricordare che, pur amando profondamente l’Italia, Yelverton non ha mai mancato di notare episodi di razzismo anche da noi. Insomma, se cercate un americano che parli della Fontana di Trevi e delle fettuccine non cercate Yelverton.

Di lui ci è sempre piaciuta la leggerezza con cui non ha fatto pesare una vita quasi incredibile (conoscete qualcuno che abbia acquistato un sax da Jabbar?), con anche episodi privati drammatici. Uno dei nostri campioni, insieme ad un altro. Almeno per due ore saremo felici.

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