Lasciatemi perdere, la seconda vita di Pittis

1 Novembre 2022 di Stefano Olivari

Le storie di successo sono noiose come quelle di insuccesso, per questo l’autobiografia di Riccardo Pittis è interessante: lui può giocarsi entrambe le carte. L’ex campione dell’Olimpia Milano, della Benetton Treviso e della Nazionale nel suo Lasciatemi perdere, da poco uscito per ROI Edizioni, racconta una carriera che tutti gli appassionati di pallacanestro conoscono, ma anche la serie quasi incredibile di scelte sbagliate che lo ha portato ad indebitarsi oltre ogni limite, lui che ha incrociato da protagonista gli anni d’oro della nostra Serie A, in cui anche gente meno forte di Pitts ha guadagnato miliardi, in un contesto che oltretutto fino al 1996 è stato molto protetto e per quelli bravi anche facile.

Meno conosciute sono le vicende finanziarie di Pittis, simili quelle di altri della pallacanestro di quegli anni: spese fuori controllo durante la carriera, apertura di locali poi finiti male, megaoperazioni immobiliari e investimenti strampalati con la costante del solito ‘amico’ che coinvolge il volto noto  in affari che sarebbero complicati per tutti, con lo sventurato che quasi sempre risponde sì avendo i meccanismi mentali dello sportivo. Che, come osserva con acutezza Pittis, ti possono aiutare nella vita ma non sono la vita. Che anche nei contesti senza disonesti è fatta di compromessi, situazioni poco chiare, valutazioni sbagliate e, diremmo soprattutto, dell’assenza di obbiettivi chiari. Ciò che in campo è chiaro, chi vince e chi perde, fuori raramente lo è.

La spinta a leggere il libro di Pittis ci è arrivata ovviamente da una pallacanestro che abbiamo molto amato ma anche dalla comune estrazione: lui è nato e cresciuto nella casa esattamente davanti alla nostra, a Milano, pagata con un mutuo concesso nonostante in famiglia ci fosse un unico reddito, nello stesso tipo di famiglia (mamma, papà, due figli) di tutta la via, frequentando le stesse scuole (ci separa un anno), con le stesse interminabili vacanze low cost e gli stessi sogni. L’abbiamo anche marcato indegnamente al torneo delle medie… Insomma, quell’estrazione piccolo borghese che è della maggioranza degli italiani, anche di quelli che se la tirano da ricchi o, peggio ancora, da poveri.

Il libro di Pittis è quasi un inno al fallimento, non perché sia bello avere i creditori sotto casa, ma perché soltanto il fallimento porta a farsi domande su ciò che siamo e cosa vogliamo. Finché siamo nei binari, più o meno di successo, non riusciamo ad avere una visione complessiva di noi, eppure la vera intelligenza sarebbe farsi queste domande prima di perdere la casa, i soldi, la dignità, il tempo, i rapporti umani importanti. Toccando il fondo (e Pittis in senso materiale è andato anche più giù del fondo) è facile vedere tutto il resto con lucidità, ma senza ipotizzare scenari drammatici le parole di Pittis toccano chiunque in un periodo della sua vita, o anche sempre, si sia sentito un fallito pur avendo una vita in superficie decente.

Oggi Pittis è uno speaker motivazionale e un mental coach, noi personalmente non crediamo a queste cose ma per sua fortuna tante aziende sì. Il libro è però valido anche al di là dell’autoanalisi, essendo pieno di parti divertenti (su tutte l’impatto con Treviso nel 1993) e commoventi (il senso di colpa per non essere stato abbastanza vicino alla madre in ospedale) . Il racconto che ci è piaciuto di più è quello sul cambio di mano imposto dalle circostanze, diventando quasi mancino. Chi cerca i classici aneddoti da spogliatoio cestistico resterà deluso, ma a noi Lasciatemi perdere è piaciuto. Perché è proiettato nel futuro, anche se nella nostra testa Pittis sarà sempre quello che incontrammo per le strade di Losanna tre ore prima della finale con il Maccabi.

stefano@indiscreto.net

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