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L’anno di Volkov e Caratti Kid

Stefano Olivari 21/10/2019

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La morte di Alexander Volkov, a soli 52 anni, dice qualcosa agli appassionati di tennis più giovani che lo hanno conosciuto come allenatore di Marat Safin e dice di più a quelli più vecchi che lo hanno ammirato in campo quando ancora lo si poteva definire sovietico: tennista dal talento e dai colpi atipici, a velocità forzatamente soft.

Destro naturale, giocava da mancino per un incidente giovanile. A braccia invertite, ciò che era avvenuto per Ken Rosewall (ma lì fu un obbligo imposto dal padre, non un incidente). Certo Volkov non è nemmeno paragonabile a Rosewall, ma la sua creatività e il suo tocco da Mecir mancino ci sono sempre piaciuti.

Oltre a innumerevoli volte in televisione, abbiamo visto dal vivo Volkov straperdere contro Boris Becker nel febbraio 1989, finale del torneo di Milano al Palatrussardi. E due anni dopo, stesso torneo ma differente sede (Forum), ci siamo goduti quattro delle sue cinque partite, fra cui il quarto con Pat Cash e la finale contro Cristiano Caratti: per Volkov il primo torneo ATP dei tre vinti in carriera (il doppio andò a Camporese e Ivanisevic), per Caratti la conclusione di una settimana memorabile in cui aveva anche battuto negli ottavi la testa di serie numero 1 Ivan Lendl, poco dopo il clamoroso quarto di finale raggiunto agli Australian Open.

La fame di un campione italiano, dopo i fasti di Panatta e Barazzutti, era tale che Caratti, soprannominato ‘Caratti Kid’ (un’idea, pare, nientemeno che di Bud Collins), non resse la pressione. Il giocatore c’era, sarebbe anche arrivato ad essere numero 26 del mondo, ma aveva un tennis troppo difficile ed un diritto troppo inferiore al rovescio: rotto qualche equilibrio interno, sarebbe sparito abbastanza rapidamente. Volkov avrebbe avuto una buona carriera, con il top della semifinale agli U.S. Open 1993 contro Sampras, ma non aveva la cilindrata fisica dei grandissimi.

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