L’amico di Ceferin

20 Aprile 2021 di Stefano Olivari

Sono state annunciate nello stesso giorno la Super Champions dei ricchi, sotto il controllo dell’UEFA, e la Super League dei super-ricchi. La prima partirà nel 2024, avrà 36 squadre e tutto ciò che è stato già scritto: sarà il vertice di un sistema in cui ci saranno anche Europa League e la Conference League, l’orrida terza coppa della UEFA che nel silenzio generale partirà già fra pochi mesi e che nel mondo fino a sabato scorso avrebbe in teoria potuto avere come rappresentante italiana… la Juventus, se fosse superata da Napoli e Lazio. Visto che in Europa League direttamente ci andrà soltanto la quinta della Serie A e che la quarta ovviamente andrà in Champions.

Ceferin ha dato del bugiardo ad Agnelli, un dirigente che nell’ultimo decennio è stato alla base di tutte le innovazioni UEFA, Conference League compresa, oltre che presidente dell’ECA, l’associazione di club europei nata sulle ceneri del G-14 ed arrivata ad avere 246 aderenti. Diciamo che almeno 226 di questi club avranno di Agnelli la stessa opinione di Ceferin… Certo lo stile di Agnelli, che poi è il solito stile degli Agnelli in partite ben più importanti del calcio (tipo il silenzio stampa sulle mascherine anti-Covid targate FCA distribuite nelle scuole), non deve far dimenticare che la Juventus e gli altri club della Super League, a partire dai due milanesi, vanno bene o male a seconda del gradimento del loro pubblico: la retorica sui tifosi traditi, adottata da gran parte dei media (in testa quelli di Cairo, che ad Agnelli ha dato del Giuda) e da quasi tutti i politici, è degna di miglior causa. È evidente che con questa svolta i club sono convinti, magari a torto, di avere intercettato il sentimento della maggior parte dei loro tifosi-consumatori, diversamente se ne starebbero buoni e agganciati al treno di una Champions in cui in ogni caso spadroneggiavano.

E veniamo all’argomento principe degli amanti dello status quo e del non fare mai niente, il diritto sportivo. Come se i campionati nazionali e la stessa Champions League non fossero stati riservati negli ultimi due decenni sempre alle stesse squadre, rese sempre più ricche e distanti dalle connazionali dalla Champions stessa. Rimanendo nel nostro orticello e andando più indietro, nel dopoguerra soltanto in due casi (Fiorentina 1968-69 e Verona 1984-85) lo scudetto è andato a club costruiti con un budget da centro-classifica. Il mitizzato Cagliari aveva alle spalle i soldi di Rovelli e di Moratti, mentre la Sampdoria aveva un Mantovani in quegli anni più liquido di Berlusconi. Un po’ poco per dire che il calcio ‘di una volta’ premiava i sani valori dello sport in contrapposizione al volgare denaro.

Sulla vicenda Superlega assordante il silenzio di Inter e Milan, che giocano una partita diversa da quella di Agnelli. Club in vendita che non vogliono essere in svendita, trattano questa vicenda un po’ come trattano il progetto del nuovo San Siro, congelato fino alle elezioni comunali. Qualcosa che aumenti di tanto il prezzo per eventuali acquirenti e che in ogni caso apre scenari nuovi. Ma se Ceferin fino a sabato scorso non aveva capito cosa passasse per la testa del suo fraterno amico Andrea, figurarsi se noi possiamo sapere il vero obbiettivo attuale di Zhang e Singer.

Come finirà? Sia la UEFA sia la Super League si sono lasciate un margine di trattativa: il buon senso dice che il nuovo scenario sarà simile all’Eurolega di basket e che la Champions non sparirà, anzi magari tornerà all’antico. Difficile che tutto questo parta fra quattro mesi, anche perché in un’Europa dimezzata dal Covid si partirebbe già ad handicap, probabile il 2022 con contratti televisivi tutti da rifare. Impossibile che la Serie A escluda le sue galline dalle uova d’oro, se non a livello di minaccia.

Domanda finale: siamo a favore della Super League? Il calcio post-Bosman, quindi dal 1996 in avanti, quello che ha annullato progressivamente identificazione e ritualità, ci ha sempre fatto vomitare a prescindere dai vincitori del momento. La Super League è una logica evoluzione di fenomeni iniziati un quarto di secolo fa: non ci scalda, ma non è più disumana della Champions, delle rose di 40 giocatori, dei Monday Night, delle 5 sostituzioni e di tutto il resto, anche di un ragazzo di Crotone che invece di andare allo Scida (si fa per dire, in questo periodo) segue le dirette della Bundesliga, chiamandola anche ‘Bundes’ in concorso di colpa con i giornalisti. Se il piccolo mondo antico non esiste più, tanto vale essere moderni. Di ciò che sta in mezzo fra il calcio dei grandi club e il vivissimo, nonostante l’ultimo anno, calcio di base, importa ormai quasi zero.

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