Lament, il vero addio degli Ultravox

17 Gennaio 2021 di Stefano Olivari

Lament è il nostro disco preferito degli Ultravox, che già di loro sarebbero fra i nostri preferiti della musica di ogni tempo. Sia nella versione John Foxx con punto esclamativo sia nella più famosa versione senza, con Midge Ure, da Vienna in poi. Di sicuro questo capolavoro uscito nel 1984 è stato l’ultimo loro grande disco prima del declino e del circo di separazioni, greatest hits, reunion, cambi di formazione e live con cui hanno tirato fino a pochi anni fa: l’ultimo disco di inediti, Brilliant, è infatti del 2012.

Lament, dunque, senza metterci a raccontare tutta la storia dei profeti della new wave e in parte anche del new romantic. Avevamo iniziato ad appassionarci agli Ultravox da Vienna, quindi dal 1980, in poi, e dopo una serie di dischi immensi era grande l’attesa per questo album, acquistato in vinile (la regola della rubrica: parlare solo di dischi che si possiedono fisicamente) in un negozio di via Novara ovviamente defunto da decenni, trascinato dalla popolarità mondiale e dal video di Dancing With Tears In My Eyes. Che come tutte le canzoni ascoltate migliaia di volte perde il confronto con gioielli ascoltati e riascoltati (anche mentre stiamo scrivendo questo post) solo in vinile come Man of Two Worlds  e Heart of the country. Le prime due canzoni del lato B, per esprimersi in vecchiese, la seconda sottovalutatissima.

Secondo la critica Lament ha segnato l’abbandono del synth-pop da parte degli Ultravox, ma basta ascoltarlo anche superficialmente per cogliere le differenze con il pop-rock anni Ottanta, con le orecchie di oggi davvero datato e stereotipato, ed in ogni caso in Lament si mescolano vari generi, incluso il celtico, sempre in anticipo sugli altri. Fuori da queste seghe mentali, visto che tutti sono influenzati da tutti, il riascolto di Lament fa nascere una domanda: cosa è rimasto degli Ultravox?

Dal punto di vista ideologico tantissimo: la visione di un’umanità nostalgica, chiusa in casa ed in sé stessa, senza più sogni, soggiogata da paure irrazionali e da mezzi di comunicazione che sono i veri terroristi, era dichiaratamente un’anticipazione ed è la perfetta fotografia del mondo occidentale di oggi. Idee non molto diverse da quelle di un Roger Waters, per dire, ma con una dose di freddo nichilismo in più. Forse nemmeno Ballard avrebbe immaginato, fuori dai romanzi, un mondo governato dai virologi. Se il ‘no future’ dei punk era quasi un grido di battaglia, quello del post punk è cronaca.

Dal punto di vista musicale invece la new wave e quindi gli Ultravox, i loro principali interpreti, è arrivata ai giorni nostri, al di là del fatto che i veri ‘giorni nostri’ siano quelli della new wave, attraverso mille strade ma principalmente due: la musica elettronica, in ogni sua declinazione, ed in parte il secondo post punk, quello degli Strokes e degli Arctic Monkeys. Ma tracce di Ultravox le abbiamo poi ritrovate un po’ ovunque (anche nei Muse) ci fosse nostalgia, romanticismo disilluso ed enfasi da disperazione più che da celebrazione.

 

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