L’altra guancia di Romero

30 Maggio 2022 di Glezos

Sabato notte a fine incontro sul ring del Barclays Center a Brooklyn, l’intervistatore chiede a Gervonta Tank Davis (27-0) cosa ci sia nel suo futuro. Risposta: “Io sono qui, con un sacco di munizioni per qualsiasi avversario”. Gelo. Le recenti tragiche sparatorie negli USA fanno sobbalzare l’ intervistatore, che taglia corto: “Meglio non parlare di armi, visto il periodo”. Povero Tank. In un modo o nell’ altro a rovinarti la festa ci provano sempre, come se non bastassero le polemiche col tuo ormai ex mentore Floyd Mayweather, che al match non si è nemmeno fatto vedere a causa di non meglio precisati “motivi familiari”. Ovviamente per la Mayweather Promotions perdere una gallina – diciamo un intero pollaio – dalle uova d’ oro come te non è una bottarella da poco, tutt’ altro.

Come se non bastassero le polemiche e le insinuazioni sui rinvii del match per il Mondiale WBA dei pesi leggeri con l’impellicciatissimo Rolando Rolly Romero (14-1), imbattuto heavy puncher dal maggiore allungo e dalla lingua ancora più lunga, accreditato come possibile upset dell’anno. Il quale si concedeva il lusso di deriderti, insultandoti e prendendoti pure sottogamba (eh sì, incredibile ma vero) già nella conferenza stampa di mesi fa, prima delle accuse di violenza carnale – poi rientrate – che avevano imposto il fermo last minute a Romero e l’ ulteriore rinvio del match. “Davis ha una paura fottuta di me. Mi ha sempre evitato, sempre. Il suo attuale status di campione del mondo è frutto di avversari di basso livello scelti con cura. Se sono arrivato sin qui dopo soli 14 incontri può solo significare che sono il migliore. Scommettete tutto quello che potete racimolare sulla mia vittoria. Tank non ha mai incontrato un vero picchiatore come me: lo stendo al primo round”. E tu lì ad ascoltarlo a bocca aperta, prima quasi divertito e poi quasi incazzatissimo. “Se Dio vuole il momento è arrivato, le chiacchiere stanno a zero”, ribattevi, ma si vedeva che eri nervosissimo davvero.

Anche il gatto di casa sa che i piani studiati a tavolino prima del match valgono quello che valgono. Ma da quello che si vedeva nella prima ripresa le cose non sembravano andare del tutto come previsto: certo, Romero il ko al primo round se lo poteva solo sognare, ma il suo jab seguito dal passo indietro che lo portava al largo dai pericoli sembrava redditizio, e nella tua classica guardia sinistra tu apparivi teso più del necessario. Quando dopo una mancata combinazione Rolly ti spingeva al tappeto ho iniziato a temere che il tuo nervosismo si tramutasse in foga: no, Tank, quella lasciala a lui, a Romero, che non è parente dell’ omonimo George regista de La notte dei morti viventi, ma che vorrebbe tanto piazzarti una fucilata come agli zombie del film. Dal quarto round inizi a prendergli le misure: Rolly continua con la routine jab-passo indietro, tu concentratissimo inizi a contrarlo e ad uscire lateralmente, e si torna su binari più consoni.

Alla quinta ripresa succede qualcosa di strano: vai a vuoto con un destro e cacci un urlo come di dolore: è dall’inizio che temo un incidente o un imprevisto, ed eccomi servito. Mi smentisci subito, contenendo il danno e chiudendo il round sulla difensiva. Il sesto tempo replica quanto si è già visto: Romero composto che lancia il jab in cerca di un’apertura senza trovarla e senza fare danni, tu che ti muovi lateralmente e ogni tanto lo contri. Aziono il rallenty. Siamo quasi a fine round: Rolly preme, tu indietreggi e vai sulle corde. Romero si abbassa mentre porta uno sconsiderato, rischiosissimo largo destro alla figura. Assorbi tranquillamente. Il bersaglio ti sboccia davanti come un fiore a primavera: largo sinistro, e Rolly va giù secco. L’intervento dell’ arbitro è superfluo: completamente rincoglionito, Romero si alza barcollando e farfuglia qualcosa con le gambe che fanno Giacomo-Giacomo. Siamo a 2’39” della sesta ripresa. Romero non attende nemmeno l’ annuncio ufficiale di Jimmy Lennon Jr. e scappa via di corsa, accompagnato negli spogliatoi dal padre. Fine, stop, punto.

Tutti abbiamo un game plan, prima che ci arrivi un pugno in bocca: parola di Mike Tyson, che di strategia magari ne masticava poca, ma di pugni in bocca tanti. Rolly Romero aveva il suo, di piano: davanti ai media blaterare di ipotetici KO al primo round, nella realtà affidarsi a jab-passo indietro e poi magari chissà, con un po’ di fortuna piazzare il colpo dei colpi. Ahi ahi, ragazzo mio: non serve scomodare il manuale pubblicato dal grande Steve Klaus una sessantina d’anni fa per metabolizzare una nozione elementare, vero ABC del caso. Guai a scoprire il lato destro davanti a un southpaw: un largo o peggio un gancio sinistro – anche di quelli non devastanti – chiuderanno l’irrorazione del sangue sulla guancia destra per qualche secondo e addio core, come dicono nella capitale.

Morale: tutto quel casino, gli insulti, le provocazioni, i proclami, la pelliccia in estate e Madonna a bordo ring, per poi presentarti alla conferenza stampa del dopo match farneticando assurdità del tipo: “Davis mi ha preso una sola volta con un colpo, tutto qui. Ho vinto tutti i round, sono andato a segno più volte, l’ ho esposto per quello che è e gli ho fatto fare una figuraccia. Adesso voglio la rivincita”. Gli sguardi e le parole del tuo team la dicevano tutta: giusto così, Rolly ha fatto un gran match, siamo orgogliosi di lui ma Tank è di un’altra categoria.

Appunto, e Tank? Calmissimo a fine match, Gervonta Davis non pare smuoversi più di tanto. Con il predestinato ruolo di Face Of Boxing in tasca prima del previsto, 27 incontri da imbattuto sono più che sufficienti per ribadire una dimensione tecnica che proietta Gervonta Davis verso un futuro paradossalmente difficile da inquadrare, data l’immensa potenzialità evidente ad ogni suo match. Mayweather o non Mayweather i giochi sembrano fatti in partenza, per la fortuna delle nostre notti a caccia di guantoni che si incrociano. “Qui a New York avevo vinto la mia prima cintura”, sorride lui a fine match. “Grazie a Rolly e al suo team: l’ abbiamo risolta sul ring, e gli faccio i miei migliori auguri per il futuro. Ma prima di tutto ringrazio Dio”. Che a Brooklyn è apparso a Romero, convincendolo a porgerti l’altra guancia.

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